«Ma ‘n padre pò avè un fijio così, senza ‘na casa, senza ‘na famijia, ma cor grembiule giallo?».
A questo interrogativo potrebbe rispondere il Dirigente Scolastico di Buggiano (Pistoia) il quale ha ordinato mediante una circolare di dotare tutti gli alunni delle Scuole Materne di un grembiule di un solo colore (giallo), motivando la scelta come una spinta verso la “parità di genere”, intesa sia come “pari opportunità” che come “lotta agli stereotipi”.
E’ il colore che rende tutti uguali ed elimina gli stereotipi? Ci sono poi tante tonalità di giallo: canarino, anatroccolo, pulcino, giallo girasole; giallo come i romanzi polizieschi o come i gilet jaunes di Parigi.
Molte studentesse che a scuola indossavano rigorosamente il “grembiule unico” a casa usavano giochi femminili, in seguito, però, hanno eccelso anche nelle materie scientifiche e oggi sono mamme. Hanno compreso la lezione degli stereotipi educando i figli al senso del dovere e del rispetto delle pari opportunità?
Se la risposta fosse positiva per tutte non si dovrebbe registrare la persistente negatività di tanti comportamenti e stili di vita che fanno registrare un generico e formale parità di genere, oggi indirizzata alla ricerca delle “quote azzurre”.
I bambini continuano a scegliere spontaneamente i giocattoli seguendo gli “stereotipi” che la pubblicità commerciale e la moda inesorabilmente impongono.
Le repentine trasformazioni di stili di vita, l’invadenza della tecnologia con i nuovi codici comunicativi, il relativismo imperante presentano una società che incapace di applicare la cultura del rispetto come documentano ogni giorno i femminicidi, una funzione materna, un tempo sacra e indiscussa, oggi, fortemente in crisi per i gravi infanticidi e abbandoni di minori.
Mentre i piccoli alunni della scuola dell’infanzia e primaria indossano tutti il grembiule con colori neutri rispetto ai tradizionali grembiuli rosa, azzurro, bianco, in alcune scuole si adotta la tuta o la divisa che offre un’immagine di parità e di uniformità al fine di evitare differenze di abbigliamento e di condizioni sociali; nelle scuole superiori la mancanza di controllo e di norme circa l’abbigliamento, non appare evidente il senso di scuola, luogo privilegiato di cultura e di formazione. Alcuni ragazzi non fanno distinzione tra la scuola, il mercato, la villa, la discoteca, la spiaggia e all’insegna di una “liberà” personale” non sanno scegliere l’abbigliamento adatto al luogo e alla finalità. Lo dimostrano i tanti jeans strappati, le magliette corte, i pantaloncini eccentrici, certamente non adatti al fare scuola.
Un dirigente nell’accogliere gli studenti, a chi portava calzoncini corti e l’infradito diceva “Qual è il numero della cabina?”, con l’intento di aiutarlo a riflettere sulla differenza con la scuola.
La cultura del “formal dress” dovrebbe far pare dell’insegnamento trasversale dell’Educazione Civica, come pure le norme di galateo nell’adozione delle regole del vivere comune all’insegna del rispetto e di quella “buona educazione” che un tempo la scuola insegnava in maniera sistematica con tutte le regole e le connesse punizioni.
Il nuovo habitus mentale che l’Educazione Civica si propone di far conseguire agli studenti scaturisce, infatti non dalle “ 33 ore di lezioni”, quanto dalla modifica che gli apprendimenti sviluppano nel modo di pensare, di sentire e di agire di ciascuno, frutto di quell’azione collegiale e formativa che ha come obiettivo la realizzazione del progetto di vita di ciascuno.
Ecco perché si ritiene indispensabile la compilazione del “portfolio delle competenze di cittadinanza” che ogni studente dovrebbe aggiornare registrando le nuove conoscenze apprese con la formula “oggi ho capito che… mi impegno a modificare il mio modo di agire”.
“Parità di genere”, “Pari opportunità”, “Lotta agli stereotipi”, termini diventati oggi titoli di dicasteri e assessorati non sono le “novità del XX secolo”, bensì principi e valori già descritti nella Carta Costituzionale agli articoli 3 sulla “pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali pari dignità “ e dell’art. 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”
Questi principi e norme sono indirizzati a «Tutti i cittadini…» e la scuola ha il compito di far ben interiorizzare agli studenti questi valori “educativi” per lo sviluppo di un reale e concreto senso civico.
La ”scuola di tutti e per ciascuno” diventa luogo privilegiato e campo di azione di pari opportunità a concreto sostegno allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, ma resta pur sempre che la crisi economica assicura soltanto che questi ragazzi da grandi saranno tutti ugualmente precari o disoccupati e tutti allo stesso modo dovranno andare all’estero per trovare un lavoro pagato il giusto. Questa però non è vera uguaglianza, né “pari opportunità.
Se l’insegnante nella costruzione del profilo educativo, culturale e professionale, (PECUP) non si interroga “cosa sarà domani di questi ragazzi?” l’attività scolastica risulterà sterile e improduttiva, non lascerà alcun “segno” nella formazione degli studenti e la scuola sarà considerata come “suola” e quindi calpestata e di poco conto nel panorama sociale.
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