In una lettera mai pubblicata a Il Giornale del Mattino di Firenze, don Milani, il priore di Barbiana, scriveva che è importante la conoscenza delle parole e quindi del latino.
“Secondo Don Milani –si legge su Linkiesta-, l’intelligenza di un montanaro equivale a quella di un laureato della città; semplicemente, al primo non sono stati dati gli strumenti per sviluppare il proprio intelletto”.
«Sono otto anni che faccio scuola ai contadini e agli operai e ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio che lingua e lingue. Mi richiamo dieci, venti volte per sera alle etimologie. […] Nei primi anni i giovani non ne vogliono sapere di questo lavoro perché non ne afferrano subito l’utilità pratica. Poi pian piano assaggiano le prime gioie. La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. L’uno se ne accorge nell’affrontare il libro del motore per la patente. L’altro fra le righe del giornale del suo partito. Un terzo s’è buttato sui romanzieri russi e li intende. Ognuno di loro se n’è accorto poi sulla piazza del paese e nel bar dove il dottore discute con il farmacista a voce alta, pieni di boria. Delle loro parole afferra oggi il valore e ogni sfumatura. S’accorge solo ora che esprimono un pensiero che non vale poi tanto quanto pareva ieri, anzi pochino. I più arditi hanno provato anche a metter bocca. Cominciano a inchiodar il chiacchierone sulle parole che ha detto».
Don Milani dunque, all’appropinquarsi dell’inizio della scuola, diceva ai ragazzi di studiare bene l’italiano, e ancora meglio il latino. Portiamo la lingua di Cicerone dentro gli Itis, all’Ipsia, agl’istituti professionali e tecnici di ogni ordine e numero. Una società migliore, un’umanità migliore si costruisce solo se la si sa immaginare, se si coltiva il dono della “Parola”.
La sinistra non si accorgeva che, scrive Don Milani, «il dominio sul mezzo d’espressione è un concetto che non riesco a disgiungere da quello della conoscenza delle origini della lingua. Finché ci sarà qualcuno che la possiede e altri che non la possiedono, questa parità base che ho chiesto sarà sempre un’irrisione. Dopo questo discorso c’è bisogno ancora che ti dica cosa penso del latino?».
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