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Il latino è una lingua morta? Un docente: no, se pensiamo a quanto latino c’è nei nostri dialetti

Come va insegnato il latino? Ha senso continuare studiarlo a scuola? Si tratta di una lingua morta? In occasione della Giornata mondiale del docente 2022 lo abbiamo chiesto a Gianluca Vindigni, giovanissimo professore di latino, laureatosi in lettere classiche con una tesi interamente scritta e discussa nella lingua di Cesare.

“Io feci latino alla terza media – ci racconta Gianluca – ma non mi piacque e per questo evitai il liceo classico e mi iscrissi allo scientifico. Alla fine grazie, a un professore delle scuole superiori, mi innamorai del latino e all’università mi trovai iscritto in lettere classiche a dovere imparare il greco da autodidatta, un percorso da pazzi”.

Periodicamente si ritorna sulla diatriba che vede fronteggiarsi due posizioni opposte, tra chi è favorevole e chi è contrario a una proposta didattica legata alla lingua latina. Ma Gianluca Vindigni non ha dubbi: “Il latino una lingua morta? Se pensiamo che non ci sono più parlanti di lingua latina, ok, in questo senso sì, ma nella vita quotidiana c’è molto più latino di quanto crediamo e quando lo facciamo scoprire agli studenti, loro iniziano a interessarsi e ad amare la materia”.

E ci racconta la sua esperienza di studente: “Non serve una didattica del latino diversa. Il mio professore mi fece amare il latino con un approccio tradizionale, non col metodo natura (per il quale si suggerisce di confrontarsi con gli studenti più sull’uso della lingua che non sui precetti). Avrà anche influito il fatto che il mio fosse un professore giovane, ma secondo me più che innovare la didattica del latino bisognerebbe fare amare il latino facendo apprezzare le analogie tra l’italiano e il latino o tra il dialetto e il latino”.

“Pensiamo al siciliano – spiega – che non ha il condizionale ma solo il congiuntivo, come il latino. Abbiamo un verbo come ire, nel mezzogiorno d’Italia, che come in latino significa andare; e parole come serra che da noi significa sega come per i parlanti dell’antica Roma. Se i ragazzi capiscono questo, ameranno la materia. Ma la prima regola è avere passione per la propria materia. Solo un docente appassionato farà venire fuori ragazzi formati bene”.

Carla Virzì

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