E’ di questi giorni la pubblicazione dei dati Eurostat. Essi sono impietosi, riuscendo a squarciare il velo degli annunci trionfalistici del governo del tipo “stiamo investendo in istruzione”, il nostro governo ha cambiato verso nei confronti della scuola. Dopo anni di risparmi, siamo tornati a spendere nell’istruzione” E così via.
Ecco i dati (2014): rispetto alla spesa pubblica il nostro Paese spende il 7,9%. Ma questo dato è parzialmente fuorviante, perché occorre contestualizzarlo al PIL. Rispetto a tutta la ricchezza nazionale (il PIL appunto) il nostro Paese spende il 4,1%. Entrambi i dati sono molto lontani rispetto alla media europea: rispettivamente il 10,2% e il 4,9%. Essi ci collocano agli ultimi posti in Europa. E l’andamento per i prossimi vent’anni non cambierà.
Se leggiamo infatti il Def (Documento di Economia e Finanza 2016) la spesa italiana in Istruzione passerà al 3,7% nel 2020 per poi scendere fino al 3,3% nel 2035.
Quali le riflessioni? Qui non vorrei soffermarmi sull’evidenza di un Paese che ha smarrito il futuro, schiacciato in un presente iperdilatato che non crede più nel valore dell’istruzione come ascensore sociale. L’ho già detto e scritto in altre parti.
Qui vorrei evidenziare il lato oscuro di questo “disinvestimento”. In altre parole portare alla luce cosa favorirà questi dati, in presenza di una scuola che nonostante tutto si conferma come un baluardo di democrazia, di inclusione e di qualità.
Bene, sinteticamente questo decremento negli investimenti sarà possibile, grazie alla proposta contrattuale che stabilisce un aumento lordo di 10€., e che sicuramente rimarrà non sottoscritta (me lo auguro) a causa della palese natura offensiva verso la dignità dei docenti e in generale degli statali. Ovviamente il contratto non potrà giustificare da solo, questa “cura dimagrante” di investimenti verso la scuola. Nel tempo aumenteranno i compiti, gli incarichi a costo zero o quasi. In questi mesi abbiamo avuto dei segnali molto chiari: gli 8.303 animatori digitali, i commissari per gli esami di maturità, gli e-tutor, i mobility manager, il Team di innovazione.
Una chiosa: tutti questi incarichi, confermano una categoria professionale caratterizzata dal “particulare”, dove è eclissata la visione d’insieme, che aveva trovato la sua massima espressione nello sciopero del 5 maggio 2015. E’ chiaro che il “divide et impera” porta vantaggi solo all’Amministrazione. Ma la lista non è finita.
Le classi pollaio (Legge 133/2008) le superpollaio, invenzione renziana ( Legge di stabilità 2015) costituiscono tasselli di pessima ottimizzazione delle risorse, a fronte di risultati sicuramente peggiori.
Concludendo, il disinvestimento verso l’istruzione sarà possibile solo avendo una controparte, disposta a lavorare tanto, ma gratis o quasi e in condizioni organizzative sempre più difficili. E il silenzio della categoria, gli scioperi inutili stanno preparando questo futuro con grande soddisfazione dell’Amministrazione.
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