Lavoro e scuole professionali, questa la richiesta degli artigiani di Treviglio, in provincia di Bergamo, che non riescono più a trovare giovani a cui lasciare la straordinaria eredità di sapienza artigianale, mentre le richieste di interevento aumentano e l’Istat segnale che la disoccupazione giovanile sta raggiungendo ormai livelli allarmanti, pari al 31%.
Eppure il lavoro non manca per idraulici, elettricisti, falegnami, panettieri ma è tuttavia assente la formazione scolastca e la presenza di genitori lungimiranti che per i figli smettano di sognare lavori con giacca e cravatta o col camice bianco.
E infatti gli ostacoli apparentemente più insormontabili, a parere delle aziende artigianali che si sono ritrovati a discutere nell’assemblea di Treviglio, sono la mancanza di scuole professionali, che non preparano adeguatamente al lavoro e non prevedono l’inserimento nel mercato, e le famiglie che aspirano a una istruzione importante e a un lavoro da impiegato, senza fatica, per i loro pargoli.
Tra i racconti più significativi illustrati da titolari di aziende artigiani c’è quello di Luisa ai cui colloqui di lavoro, per reclutare manodopera, il candidato si presenta con la mamma che non tollera che il figlio si alzi alle 6.30 del mattino, che possa essere disturbato dal rumore della fabbrica e altre amenità di questo tipo.
Vivono, raccontano ancora, con 1.100 euro al mese ma non vogliono che il figlio lavori in fabbrica e soprattutto senza il mitico camice bianco.
Gli artigiani ora vogliono parlare con le famiglie e con la scuola: “Sia chiaro noi non stiamo proponendo alle nuove generazioni un piccolo mondo antico. I nostri sono mestieri che sono diventati moderni e non hanno paura di prendere dalla tecnologia tutto ciò che serve. Prima le famiglie lo capiscono e meglio sarà”.
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