«È sbagliato vietare a scuola i canti religiosi del Natale». Lo dice forte e chiaro, Rifat Aripen, originario del Bangladesh e coordinatore delle associazioni islamiche nel Lazio. «In Bangladesh noi musulmani siamo il 90% della popolazione, ma il 25 dicembre è festa nazionale», spiega il responsabile culturale dell’Associazione culturale islamica in Italia al quotidiano La Stampa.
È «un messaggio negativo e diseducativo» proibire in classe le celebrazioni e tradizioni natalizie per «non creare imbarazzo o disagio ai genitori di bambini stranieri e alunni non cristiani». Le radici «vanno tutelate».
«Osservare usi e costumi non rappresenta una minaccia per i non cristiani- spiega il leader islamico. -C’è una grande ignoranza nel considerare il mondo musulmano un’unità indistinta. L’Islam è composto da tanti paesi e da differenti culture. Ogni nazione ha fatto il proprio percorso. La religione islamica, che è il terreno comune a tutti questi paesi, non ha nulla in contrario al rispetto delle tradizioni altrui».
«L’Islam non si oppone alle feste tradizionali delle altre religioni e predica massimo rispetto per il cristianesimo e l’ebraismo. Per noi non c’è nulla di male nei canti natalizi in classe. Da studente nelle scuole superiori italiane ho sempre fatto il presepe con i miei compagni e fino all’ultimo anno del liceo ho preso parte all’ora di religione. Erroneamente si identifica l’ortodossia islamica con la corrente wahabita o col pensiero salafita magari perché le offerte per costruire una moschea in Europa arrivano dall’Arabia Saudita. Ma non è così. Scontiamo la mancanza di conoscenza di ciò che siamo. Il caso di questi giorni a Rozzano è emblematico».
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«Chi ha idee chiare e conosce le realtà rispetta l’altro, chi è ignorante non ha rispetto per nessuno. È una follia proporre la chiusura di moschee e associazioni culturali islamiche, sono luoghi per diffondere conoscenza e dialogo. L’oppressione è controproducente ai fini dell’integrazione e dell’armonia. È un grave errore confinarsi su posizioni difensive. Gli immigrati di prima generazione non partecipano a conferenze o manifestazioni però in moschea vengono. È lì che possiamo impegnarci per far crescere il rispetto e l’integrazione. Chiudere le moschee è dannoso rispetto all’obiettivo comune, cioè alimentare la conoscenza e uscire dall’ignoranza reciproca».
«E’ giusto predicare in italiano, siamo favorevoli a questa svolta. Molte persone che frequentano le moschee non parlano arabo. La comunità dei fedeli è composta da decine di nazionalità e la lingua comune per la maggioranza di noi non è l’arabo né l’inglese, bensì l’italiano. Per l’Islam non è un problema ma un’opportunità che il sermone venga tradotto dall’arabo in italiano, anche perché non è in un’occasione pubblica che avviene la predicazione dei seminatori d’oro che hanno piuttosto nell Web i loro canali di indottrinamento. Farsi capire da tutti è questione di rispetto».
Perché vietare un simbolo?
«Non ha senso dunque vietare il simbolo del Natale. Il Natale è simbolo di una civiltà prima che di una religione. In Italia e in Europa la civiltà cristiana ha radici profonde che vanno rispettate e negarle significa non conoscere la storia e chiudere gli occhi davanti alla realtà. Il Natale è simbolo anche per un agnostico e i simboli non danneggiano nessuno. Un uomo è uomo prima di essere musulmano, cristiano o ebreo. Nessuno sano di mente lo ignora. E condannare le stragi di Parigi è un assoluto dovere di ogni essere umano».
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