Il liberismo economico regna a scuola

Da diversi anni ho la netta impressione che si sia creata una frattura tra la pedagogia e la scuola reale. In altri termini, quando leggo libri universitari e non che trattano di scuola mi sento a disagio che riesce fortunatamente a superare il silenzio del pensiero, divenendo “discorsi e parole”, attraverso queste domande: “Dove sta questa scuola? Esiste ancora una scuola che metta al centro l’alunno e lo studente?”

Questo stato d’animo ha una causa: l’economia o meglio il liberismo economico che da elemento accessorio è divenuto quello che ha condizionato e continua a farlo i governi nazionali. Parafrasando il pensiero di uno dei filosofi emergenti, D. Fusaro è possibile affermare che il liberismo economico è divenuto la forma-mondo del sistema scolastico, riuscendo a declassare la pedagogia e la didattica, a puro esercizio retorico nei convegni e in alcuni corsi di aggiornamento. Un esempio: l’introduzione dal 2009, grazie al duo Gelmini-Tremonti delle classi pollaio, divenute super-pollaio grazie alla legge di stabilità del 2015 (Governo Renzi) che vieta la chiamata del supplente al primo giorno di assenza del titolare.

Questa soluzione organizzativa che compromette ogni progetto e soluzione di didattica inclusiva, riprendendo il pensiero di un altro filosofo U. Galimberti, ha alterato la natura educativa della classe, identificata sempre più con il fine del contenimento. In alcuni casi dove ancora si riesce a parlare di scuola e non di “ badget” “ottimizzazione” l’intervento didattico si ferma alla tecnica all’addestramento strumentale, dimenticando la prospettiva, e riducendo quindi il ruolo dell’insegnante a quella di un tecnico. E’ il caso del Piano Nazionale Scuola Digitale, dove si ricorre il software, la buona pratica, meno invece l’elaborazione di un piano educativo che traduca nella prassi scolastica i criteri sottesi alla Pedagogia 2.0, i soli che possono dare un significato al fare quotidiano in classe.

In questa “notte del mondo”, dove si è voluto identificare la tecnica, il prodotto con l’essere (M. Heidegger), molti insegnanti rappresentano la testimonianza che è possibile pensare ad un alterità, ad un oltre dove l’essere conta più della finanza, dei mercati, dello spread.

Non è facile resistere, pensare che la realtà sia trasformabile e non data come un qualcosa di insuperabile. Girando le scuole, incontro sempre più colleghi, che spesso si lasciano andare a frasi permeate dalle “passioni tristi” (B. Spinoza) come la rassegnazione, lo sconforto, il pessimismo e che si traducono nel “ Non possiamo farci nulla!!! Le nostre lotte non servono! Andiamo verso un tipo di scuola dove sarà richiesto molto a fronte di scarsi riconoscimenti economici.”

Certo le cose non possono cambiare se rimaniamo “monadi”, “atomi”, in quanto il contesto che li caratterizza è funzionale al potere, che ci vuole divisi. In tal senso occorre leggere molti accesi dibattiti e confronti sull’individuazione dei criteri per l’assegnazione del bonus per la valorizzazione dell’impegno docente. Riusciremo a riappropriarci del nostro lavoro se supereremo l’ io” a beneficio di un “noi” fondato su un progetto rivolto alla costruzione di un futuro, inteso come “ altro” dal presente che regna e condiziona con la sua pesantezza esistenziale l’attuale contesto.

Questo compito necessita di alcune condizioni favorevoli (ne cito qualcuna) : un cambio di direzione culturale e sociale che rimetta al centro il futuro. Senza questa “ricentratura” ogni discorso sulla scuola è inutile.

A questo si aggiunge l’assunzione del dicastero del Miur di un insegnante ( non universitario. Siamo stufi dei Profumo, Carrozza, Giannini…) che abbia ancora “esperienza d’aula” e la formazione di un soggetto sociale diverso dal sindacato che ormai da diverso tempo non riesce più a interpretare e portare al successo le richieste della scuola, in quanto ormai ha perso la prospettiva, il futuro, riducendo spesso a gestire il presente con proclami sempre più vuoti (“Alla ripresa autunnale ci sarà un Vietnam nelle scuole”. Questo dicevano a settembre. Risultato: zero) e “chiamata alle armi” utile alle parti sociali per “pesarsi” ma oneroso solo per il personale della scuola. 

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