“La lettura, il corpo, la voce. Fondamenti linguistici e neurali della lettura ad alta voce”, di Paolo S. Sessa (Giovanni Fioriti Editore, specializzata nel settore), è rivolto a chi sulla parola imposta la sua professione, per tramandare cultura e conoscenza, quindi agli insegnanti, ma anche a chi di neuroscienze si interessa.
Un libro composito, dentro il quale si intrecciano robuste competenze legate, sia alle bizzarrie del cervello per memorizzare, comprendere, elaborare, comparare ecc., e sia alla letteratura, quella che ha bisogno della voce per esprimere la sua arte: poesia e prosa dunque. E allora, quanto un’opera letteraria ama essere letta in modo silenzioso e quanto invece a voce alta, dando quindi spazio al suono delle parole, alle sue intonazioni, alle variazioni sul tema, al calco sugli accenti, alle ridondanze delle allitterazioni in somiglianza della musica?
Le domande: cosa c’è in un testo?
Ma allora, si chiede l’autore, cosa c’è in un testo? E soprattutto cosa c’è che ci riguarda come lettori? Quali sono le tracce di oralità che l’artista ha inteso preservare nel testo per veicolare le sue emozioni? Come interferisce la sostanza dell’espressione (il materiale verbale) sul significato di un testo? Quali sono le strategie proprie dell’atto performativo attraverso le quali le tracce di oralità possono riemergere dalla scrittura? Cosa possono e devono fare la voce e il corpo del lettore per vivificare il testo scritto e riscoprire la voce e la tensione che gli hanno dato vita? Ecco perché ai docenti, ma anche agli studenti, si rivolge il testo di Sessa, affinché scoprano l’importanza strategica della voce nella lettura in classe, mentre, per chi vuole seguire le vie dell’arte drammatica, potrà trovarvi i meccanismi attraverso i quali la voce e i gesti significano il testo, e rafforzare così le loro competenze.
D’altra parte, spiega l’autore, se la lettura interiore rimane un atto privato, quella a voce alta è invece una forma di comunicazione intersoggettiva con l’ascoltatore e quindi con l’artista stesso che così si relaziona in una triade dialettica che aiuta e induce ad amare il pezzo scritto. Una caratteristica questa ben nota ai trovatori medievali, ai Minnesänger, che amavano recitare i loro versi nelle corti, e come ben sapeva il nostro Cielo D’Alcamo che lo faceva nelle fiere e nei mercati, e come del resto si sforzò di fare la poesia del Risorgimento con le rime ben marcate e suoni acusticamente uguali, in soccorso alla memoria.
Aiuto determinante è arrivato, chiosa Sessa, dagli studi di poetica cognitiva e delle emozioni, e dai correlati gestuali, ma anche dalla scoperta dei neuroni a specchio (che si attivano non solo con l’azione ma anche con il linguaggio: ad esempio, quando una persona ascolta frasi che descrivano azioni, come se fosse lei stessa a compierla) e dalla teoria della simulazione incarnata. Oltre alla profondità cattivante e del tutto nuova degli argomenti, che riescono perfino ad affascinare, il saggio ha pure il raro pregio di farsi leggere con piacere, grazie a una prosa lieve e musicale che amerebbe, anch’essa, la lettura ad alta voce.
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