Pubblichiamo una testimonianza personale di un nostro collaboratore, Gianni Zen, che interviene in merito alla scelta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non affidare il ministero dell’Economia a Paolo Savona.
Molti mi stanno chiedendo su Sergio Mattarella. “Sembrava un tipo sobrio, silenzioso, invece…”.
Mi chiedono cosa ne penso, avendolo conosciuto bene. Anche se da anni non frequenti gli ambienti romani.
Era con me componente del gruppo dei Popolari alla Camera, e nella Commissione Antimafia.
Da anni non vado più a Roma, preferendo seguire la mia inclinazione, che è il mondo dell’educazione. Così non so cosa stia succedendo, nel senso che vedo e leggo tutto quello che tutti vedono e leggono.
Con Mattarella nacque non direi un amicizia, vista la differenza d’età, ma una consuetudine.
Lunghe chiacchierate. Ovviamente non solo di politica. Ricordo bene il suo ricordo del padre Bernardo, per la nascita dei Popolari e della DC, allora oggetto dei miei studi storici. E quello del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia. La sua decisione di fare politica nacque proprio in quel momento, mi disse.
Quello che ricordo di lui è la grande competenza sui temi istituzionali (era docente di diritto parlamentare), tanto che tutti, di tutti i partiti, lo consultavano. E una grande dirittura morale. Ma schivo verso i gruppi di potere.
Per cui rimasi sorpreso quando venne eletto Presidente della Repubblica, essendo uno fuori dalle consorterie.
Ricordo alcune situazioni curiose: lo accompagnai in alcune occasioni ad alcuni appuntamenti istituzionali. E ciò avveniva con la macchina blindata, perché lui aveva la scorta.
Gli chiesi più volte come si può vivere sempre sotto scorta. Facile immaginare la risposta: una necessità, visti i tempi, ma carica di disagi.
Ricordo che mi fece studiare il caso di un senatore DC ucciso dalla mafia nel 1988, Roberto Ruffilli, incaricato di presentare una riforma dello Stato incentrata sul principio “il cittadino come arbitro”.
Studiai il caso, l’intelligenza di questa proposta, e compresi che dopo l’uccisione di Moro del 1978, la morte di Ruffilli avrebbe cancellato ogni ipotesi di riforma e di modernizzazione dello Stato italiano. Con le conseguenze che sappiamo, cioè la degenerazione della Prima Repubblica e Tangentopoli, una degenerazione che portò ad una seconda Repubblica piena di contraddizioni.
Quella insipienza fu coperta, l’anno dopo, nel 1989, dalla caduta del Muro di Berlino ecc.ecc…, e non si parlò più della proposta di Ruffilli, vero antesignano della applicazione del principio di sussidiarietà . Oggi dimenticato.
Ricordo Mattarella come studioso attento, sempre puntuale, informato, disponibile. Ma sempre discreto, mai sopra le righe.
Una altissima sensibilità istituzionale, una inflessibile sensibilità etica, una sobrietà di fondo che mal si concilia con la politica di oggi.
Lo stesso rigore morale, mi verrebbe da dire, del suo maestro politico, Aldo Moro. Che in tante occasioni è stato oggetto delle mie domande.
Cosa ho pensato, seguendo le vicende di questi giorni, compreso il rifiuto di Savona come ministro?
Che aveva delle informazioni, evidentemente, che noi non abbiamo. Legate al rilievo decisivo che la nostra sovranità è limitata dal fatto che a pesare è il nostro grande debito pubblico: oltre 130% di debito sul PIL. Ogni anno il nostro Tesoro deve chiedere ai mercati (esterni ed interni, cioè anche i nostri concittadini) sui 450 miliardi.
Se avessimo il debito, al 60% circa, come in altri Paesi dell’UE, sarebbe tutto più facile. Ma così non è.
Quindi è essenziale, questa la posizione di Mattarella, mantenere l’equilibrio interno-esterno, per cui non siamo un Paese a totale sovranità. Giusto, dunque, che si discuta a partire da dati reali, non su petizioni di principio ideologiche.
Questo è quello che, in sintesi, ho pensato, per cui il fatto che Mattarella, che conosce perfettamente le sue prerogative costituzionali, abbia deciso di non controfirmare, e quindi di non accettare, la nomina di Savona, nonostante avesse offerto alla Lega quel posto con Giorgetti, ci dice che è una situazione che va resa trasparente, per consentire ai cittadini italiani di votare, ma sapendo la reale portata delle proposte in campo.
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