Quello che era stato il progetto del centrodestra, amatissimo da Letizia Moratti, apprezzatissimo da Mariastella Gelmini, sollecitato e riproposto con spiegamento di forze da Valentina Aprea, finalmente viene varato dal Governo di centro sinistra: saranno le scuole a scegliersi i docenti e non i docenti la scuola, come da sempre negli anni della Repubblica è accaduto. Una rivoluzione a tutti gli effetti, con ammiccamento alla prassi in uso presso le scuole paritarie. Qui infatti appare normale che il proprietario della scuola, invece di scorrere le graduatorie, decida di nominare chi reputa più adatto a supportare il proprio progetto educativo e il proprio indirizzo ideologico, nella scuola pubblica un po’ meno, ma ormai le due realtà per certi versi coincidono, mentre il dirigente diventa il perno attorno a cui il sistema si muove.
Non a caso alcuni parlano di rivoluzione copernicana, eliocentrica, dentro la quale l’attenzione si sposta dal docente al dirigente.
In pratica i neoassunti della Buona scuola, che circa un anno fa hanno ottenuto una cattedra definitiva e hanno chiesto di spostarsi, con la legge 107 verranno assegnati nei cosiddetti “ambiti territoriali” da dove le scuole potranno sceglierli, come al mercato del pesce. O come nell’impresa dove un «manager» valuta le «competenze» dell’aspirante lavoratore e sceglie in base alle esigenze della «produzione». La trasformazione della scuola in un’impresa, e della gestione del docente in management del capitale umano, passa da questa rivoluzione o da questo golpe, a secondo dei punti di vista.
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Il Miur a tale scopo ha preparato delle linee guida su come tale chiamata, per competenze, dovrà essere gestita. Il preside emanerà un bando, sulla base del Piano della propria offerta formativa (Pof), definendo i requisiti che il prof dovrà avere. Quindi selezionerà i curriculum e se ha qualche dubbio su più candidati li valuterà con un colloquio. A questo punto, se è un dirigente serio, avrà come bussola le effettive competenze, se è invece un marpione, in base a parametri propri che possono andare dall’avvenenza del prof alla bustarella o a chissà cosa. E può pure accadere che il Pof sia strutturato in modo che nella rete entri una determinata categoria di docenti funzionali a un indirizzo anche ideologico che la scuola vuole prendere, dando avvio nello stesso tempo a graduatorie e classifiche di scuole come accade nelle squadre di calcio e nei tornei per la conquista dello scudetto.
In altri termini, un buono staff dirigenziale potrà fare della propria scuola una sorta di cittadella fortificata dentro cui potrà accedere solo chi fa particolari voti o porta determinate insegne di sottomissione o si pieghi al suo dettame. Non a caso la gran parte dei docenti è contraria, anche perché ha ben capito che si corre il reale rischio che la libertà di insegnamento, su cui la scuola poggia la sua mission educativa, contrariamente ai privati, prenda la via del ricatto e della minaccia o della intimidazione. Perché deve essere chiaro: saranno tanti i prof che pur di ottenere un avvicinamento saranno disposti ad abiurare qualsiasi fede e qualsiasi principio.
Sullo stesso fronte dei docenti, tutti i sindacati, tranne quello dei dirigenti, l’ Anp in modo particolare, felice di non avere seccature e di passare direttamente ai fatti se un docente stuzzica troppo il suo operato. Come contromossa, rimane la raccolta di firme per indire un referendum abrogativo di questo aspecifico articolo della legge 107. Ma, riusciranno i nostri eroi nel frattempo ad arginare la valanga che sale?
Perché la scelta del docente, scrive pure Il Manifesto, resta a discrezione del preside che sceglierà, tra i 40 criteri contenuti nelle linee guida per la chiamata diretta, i quattro che si adattano alla sua idea di impresa. Molti di questi criteri non riguardano l’attività didattica propriamente intesa, ma la capacità di coordinare progetti e personale, ottenere fondi.
È il sintomo della trasformazione del docente in imprenditore capace di insegnare, ma anche di stabilire rapporti con chi può finanziare i suoi progetti, attività ritenuta fondamentale da quando sono stati tagliati alla scuola 8,4 miliardi di euro. Il Miur intende premiare questa capacità nella distribuzione delle cattedre e trasformare i docenti in capitale umano obbligato alla «mobilità»; il preside trasformato in un manager-selezionatore e valutatore; le procedure assegnate all’arbitrio di un singolo al punto che più di qualcuno denuncia la possibilità di abusi. Circola in rete una petizione, denuncia sempre Il Manifesto, alla ministra Giannini, e diretta anche al presidente dell’Anac Cantone in cui i docenti accusano il rischio “corruzione” e chiedono il ritiro della “chiamata diretta”. Eventualità improbabile, considerato il furore ideologico del governo.
Colpisce anche la frenesia che scuoterà il sistema scolastico tra il 25 luglio e il 15 settembre, termine entro il quale i docenti avranno presentato le loro «autocandidature», i presidi li avranno scelti e saranno concluse le assegnazioni di incarico d’ufficio degli uffici scolastici regionali. In pratica i docenti avranno 5 giorni per presentare le domande, i dirigenti tre per valutare i loro curriculum, i provveditorati un giorno per definire gli incarichi di coloro che non saranno stati selezionati. Il tutto senza escludere il “colloquio” con il quale il manager sceglierà il candidato per la sua «squadra» per tre anni. Questa imprenditorializzazione della scuola lascia il campo a conflitti e contenziosi di ogni tipo.
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