A distanza di un mese e mezzo dalla nascita del Governo Meloni, continua far discutere la decisione di inserire la parola ‘merito’ nella nominazione del nuovo ministero dell’Istruzione: in fase di conversione del decreto legge ‘Ministeri’, l’opposizione – composta da Pd, M5S e Avs – ha infatti prodotto degli emendamenti identici per cancellare quella parola. “Aggiungere la parola ‘merito’ alla nominazione del Ministero dell’Istruzione è una scelta ideologica ed un pessimo segnale” per “dirottare gli investimenti sui territori più ricchi e sugli istituti frequentati dai ragazzi e dalle ragazze che vengono da famiglie benestanti”, ha tagliato corto Elisabetta Piccolotti, di Alleanza Verdi Sinistra.
La maggioranza a Montecitorio, però, non ha avuto dubbi nel confermare quella parola, incassando anche il consenso dei deputati di Italia Viva ed Azione.
Luigi Marattin del Terzo Polo, ha spiegato che “l’avversione alla parola ‘merito’ deriva dal fatto che si dice ‘guardate, se voi premiate il merito, cristallizzate quelle che sono le situazioni di vantaggio relativo. Il punto fondamentale è comprendere che non esiste un’attenzione al merito senza un’ossessione verso l’uguaglianza delle condizioni di partenza, non di arrivo. Sentendovi parlare è troppo forte in me la tentazione di credere che voi, in realtà, vogliate l’uguaglianza delle condizioni di arrivo e non di partenza. Essa stessa, questa sarebbe il contrario del merito”.
L’ex sottosegretario Rossano Sasso, della Lega, sostiene che fa “dispiacere vedere come, nel dibattito parlamentare, sia considerata una colpa affiancare due parole: merito e istruzione”.
Dal Centro-Sinistra giungono interpretazioni praticamente opposte. Gianni Cuperlo, del Partito democratico, sostiene che la maggioranza confonde l’idea del merito scolpito all’articolo 34 della Costituzione “con l’ambigua categoria della meritocrazia”.
Un altro dem, Nicola Zingaretti, ricorda che parliamo di termine introdotto “grazie ad un emendamento di Palmiro Togliatti alla Costituente”, che però aveva ben altre motivazioni e finalità.
La parola, ‘merito’ ha creato polemiche sin da subito. “Aver coniugato Istruzione e merito è un messaggio politico chiaro”, aveva assicurato caldo il neo numero uno del ministero dell’Istruzione Giuseppe Valditara, qualche giorno dopo la sua nomina.
Lo stesso numero uno del dicastero bianco di Viale Trastevere aveva anche spiegato che il riferimento del termine non riguardava solo gli studenti, ma anche il personale della scuola che meriterebbe di fare carriera come in tutta l’amministrazione pubblica.
Confermando, in questo modo, la linea avviata dal suo predecessore, Patrizio Bianchi, che prima di lasciare il ministero ha voluto (e ottenuto) introdurre i premi e incentivi per non oltre il 3-4% del personale docente (tra l’altro da assegnare solo tra dieci anni).
L’idea del “premio incentivante” non sembra essere piaciuta all’attuale ministro, però è probabile che venga solo modificata. Non di certo cassata.
“Io – ha continuato Valditara – ho iniziato col contratto, che ha portato al più importante aumento degli ultimi rinnovi”, ha tenuto a dire il ministro dell’Istruzione, sostenendo, in pratica, che il 4,22% di incrementi rispetto al 3,48% del 2018 è stato un risultato importante. Anche se, a dire il vero, si tratta di aumenti tutti derivanti dalle ultime Leggi di Bilancio, quindi non certo dall’attuale Governo. Il quale, almeno per ora, non avrebbe alcun “merito”, se non quello di avere chiuso in pochi giorni una trattativa che il precedente Esecutivo non ha portato a casa in un anno e mezzo.
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