Da più parti si continua a parlare di “merito” e di “ascensore sociale”. Lo stesso ministero dell’Istruzione, con l’avvio dell’attuale legislatura, ha cambiato nome. Tuttavia, i numeri dicono che in Italia siamo fermi ai meri auspici. La realtà è ben diversa da come si vorrebbe. A descriverla, con una certa preoccupazione, è stato l’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, descrivendo una mobilità intergenerazionale sostanzialmente bloccata rispetto al titolo di studio: è tutto dire che il figlio di un padre laureato ha oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi si è fermato alla terza media.
Entrando nel dettaglio, nella fascia d’età 30-39 anni la probabilità di laurearsi per il figlio di un laureato è del 61%, percentuale che scende al 30% per il figlio di un diplomato, fino a toccare il 18% per chi ha il padre con al massimo la licenza media.
I dati fanno parte del Rapporto Plus 2022 sulla mobilità intergenerazionale dei titoli di studio, presentati il 25 maggio a Benevento nel corso dell’evento ‘Giovani verso il futuro. Formazione e lavoro nella società in trasformazione’, organizzato da Inapp in collaborazione con la Regione Campania e la Provincia di Benevento.
Durante l’evento è stato sottolineato come il livello medio di istruzione sia cresciuto negli ultimi cinquant’anni, ma anche come lo svantaggio di chi proviene da famiglie meno istruite si sia ridotto significativamente.
Va tenuta presente la demografia: nonostante l’incremento della quota dei laureati, passata dal 14% dei 50-64enni al 28% dei 30-39enni, coorti giovani sempre meno numerose, determinano una sostanziale costanza del numero assoluto dei laureati che concorrono a formare l’offerta di lavoro qualificata.
Molti possono essere i fattori alla base di questi fenomeni: l’esperienza passata dei genitori e le loro possibilità economiche, inadeguati servizi di orientamento, limiti dei meccanismi di transizione scuola-lavoro, insufficienti strumenti di sostegno negli studi per i giovani con basse disponibilità finanziarie.
Un altro dato certo è che il titolo di studio non è percepito dalle famiglie meno istruite come una chiave per l’affermazione lavorativa e ciò può indurre i genitori a non investire nell’istruzione del proprio figlio. E su questo aspetto potrebbe pesare non poco il fatto che in Italia i rendimenti dell’istruzione risultano mediamente più bassi di quelli registrati in altri paesi Ocse.
Cosa fare? Secondo i relatori occorrerebbe sostenere le politiche e i servizi che consentono il raggiungimento di livelli europei di istruzione terziaria sono essenziali per poter avere una componente di forza lavoro strategica nel futuro, in grado di farci competere con gli altri Paesi.
Inoltre, sarebbe importante proporre interventi di politica che mirino a ridurre le disuguaglianze (Nord -Sud, ma anche grande/piccolo centro urbano) tenendo conto delle peculiarità dei vari territori; ad esempio, nel Mezzogiorno registriamo ancora oltre 4 milioni di persone con solo la scuola media inferiore nella popolazione tra i 30 e 64 anni.
Sebastiano Fadda, presidente Inapp, si è soffermato sul “basso numero dei laureati” e “la sua ineguale distribuzione rispetto alle caratteristiche di istruzione e di reddito dei nuclei familiari di provenienza Se a questo si aggiungono anche i fenomeni della disoccupazione intellettuale, della ‘sotto-occupazione’ e della ‘fuga dei cervelli’, si capisce quanto grande e complesso sia il problema della formazione e della utilizzazione del capitale umano nel nostro paese”.
“Una società giusta ed equa – ha continuato Fadda – implica che sia l’impegno, e non le posizioni iniziali o il contesto famigliare, a determinare lo status socioeconomico dell’individuo”.
Infatti, ha detto ancora, “il sistema educativo dovrebbe garantire a tutti i ragazzi e le ragazze l’opportunità di partecipare a processi di apprendimento efficaci, in grado di sviluppare le loro potenzialità e il loro talento separando così le loro prospettive da quelle della famiglia d’origine. E ciò può avvenire sviluppando non soltanto i percorsi universitari ma anche gli altri percorsi di formazione professionale fino al livello terziario e garantendo processi continui di aggiornamento delle competenze per soddisfare i bisogni emergenti dalle trasformazioni strutturali in atto”.
Durante l’evento, Inapp e Università degli studi del Sannio hanno sottoscritto un accordo quadro di collaborazione che sfrutterà tutte le competenze (giuridiche, economiche, statistiche, ingegneristiche e informatiche) dei due Enti per lavorare in sinergia. Con un’attenzione particolare, proprio ai temi della formazione e del lavoro per i giovani.
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