Dal giorno in cui la Presidente del Consiglio dei ministri ha declamato al Quirinale i nuovi nomi di alcuni ministeri molto si è discusso sul tema del merito, parola che è andata ad aggiungersi alla dizione Istruzione con la conseguente nascita del nuovo Ministero dell’Istruzione e del Merito (acronimo MIM? anche se il vecchio acronimo MIUR rimane ancora il nome del dominio internet del ministero di via Trastevere).
Ovviamente il dibattito ha preso tanti rivoli, spesso mettendo assieme cose completamente diverse. Ad esempio un conto è ragionare di merito dei docenti (inteso in questo caso come premialità per chi lavora di più assumendo maggiori responsabilità rispetto ad altri o, più in generale, per chi eccelle nella professione) altro conto è ragionare di merito facendo riferimento agli studenti.
In questo caso la dizione merito è attestata in Costituzione, all’art. 34, e proprio con riferimento alla scuola: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Tuttavia molti hanno poi utilizzato il concetto di merito non tanto per andare a verificare se davvero la Repubblica italiana rende effettivo il diritto dei meritevoli ma per partire con la consueta filippica contro la scuola che promuovendo tutti non valorizza chi davvero merita e quindi non può che risultare in declino.
Su questo, con assoluta sagacia, ha chiuso il conto Gramellini che sul Corriere ha ricordato, anche ai tanti soloni universitari che pontificano al riguardo senza prima guardare in casa propria, che in Italia per le carriere non solo universitarie conta non tanto se conosci qualcosa quanto piuttosto se conosci qualcuno !!!
Altri (e io stesso fra questi) hanno sottolineato la complessità del concetto di merito rifacendosi anche un recente e importante saggio del filosofo americano Michael J. Sandel intitolato “La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti”. Il saggio del filosofo che insegna ad Harvard sostiene che siamo abituati a pensare che una società meritocratica sia una società giusta: ma dietro all’idea del merito si nasconde un inganno. Senza pari opportunità, vincerà sempre chi ha più mezzi. Chi perde, invece, potrà incolpare solo se stesso.
Ed ecco qui il punto che mi interessa all’interno del dibattito sul merito e sull’art. 34 della Costituzione italiana: il merito può infatti essere fatto valere solo all’interno di un contesto sociale nel quale venga reso effettivo il dovere di solidarietà che sta alla fase dell’art. 3 della Costituzione.
Infatti è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 comma 2).
Solo dove il diritto/dovere di solidarietà è effettivo il merito può contare e assieme a lui l’impegno personale.
Ciò che troppi rimuovono, invece, è proprio l’analisi delle effettive e radicali disuguaglianze esistenti anche in Italia.
Non mi dilungherò troppo presentando le analisi del più importante studioso europeo delle disuguaglianze (Thomas Piketty) ma utilizzerò un grafico ripreso dal sito World Inequality Dababase che studia e rappresenta la diffusione della diseguaglianza a livello mondiale. La figura rappresenta come è distribuito il reddito complessivo in Italia dal 1980 al 2020: il 10% più ricco della popolazione controlla il 32% del reddito mentre il 50% più povero nel controlla solo il 20,7%.
Non credo occorra commentare. Bastano forse le parole che l’ex premier Mario Monti ha consegnato in un’intervista a Federico Fubini sul Corriere della sera del 28 ottobre 2022: “Merito e uguaglianza non possono non applicarsi anche alla dimensione fiscale. Ma mi pare impossibile garantire uguali punti di partenza a tutti nella scuola, nella sanità, nel rapporto con lo Stato sulla base di proposte di tregua fiscale, rottamazione delle cartelle, soglie elevate del contante, flat tax e minore progressività dell’imposta. Uno Stato che non riesce a tassare in maniera equa, uguale per tutti secondo le possibilità di ciascuno non può garantire quella uguaglianza di opportunità e quella valorizzazione del merito di cui giustamente parla il presidente del Consiglio”.
Non soltanto, aggiungo, non le può garantire, ma le può allontanare.
Messa così la faccenda, io sono un assoluto sostenitore del merito di cui parla l’art. 34 della Costituzione. E pretendo che tutti abbiano davvero non solo le stesse possibilità al momento di partenza ma anche non siano ostacolati durante il percorso. Altrimenti (come segnala da anni l’Invalsi) continueremo a vivere in un paese dove chi è figlio di laureati si laurea e spesso continua la lucrosa e ben avviata professione del padre mentre chi è figlio di operai o di famiglie in disagio non ha alcuna prospettiva. Se non quella di sentirsi anche incolpato di non essere riuscito nella vita perchè non ci ha messo impegno!
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