Il tema del merito non è una invenzione del Governo Meloni o del ministro Valditara, ma risale a più di venti anni fa e ha caratterizzato tutte le riforme della scuola che si sono succedute a partire dal ministro Luigi Berlinguer: è quanto sostiene il Manifesto dei ‘500 in documento diffuso in queste ore.
Secondo il “Manifesto”, già la Legge di parità, l’Autonomia Scolastica “con l’ingresso dei privati, i tagli alla scuola statale, la concorrenza tra le scuole” avevano aperto la porta alle Leggi Moratti e Gelmini e poi alla “Buona scuola” di Renzi.
“Un tratto comune a tutte queste contro-riforme – prosegue il documento – fu il mantra del presunto ‘merito’, dietro al quale si nasconde l’attacco alla libertà d’insegnamento, riconosciuta costituzionalmente, elemento base delle democrazie, e il tentativo di far esplodere l’unità della categoria dei docenti, quindi il contratto nazionale”.
Ma, ciò che sta accadendo oggi rappresenta un salto politico decisivo; il cambio di nome, sostiene sempre il Manifesto, potrebbe anche apparire ridicolo (“è come se il Presidente della Repubblica diventasse di colpo “Presidente della Repubblica e dell’equità”, oppure “Presidente della Repubblica e della prosperità”), mentre in realtà c’è qualcosa di grave: “con la Meloni, un’istituzione (il Ministero dell’Istruzione) si confonde con un programma. Una parte politica tende a diventare istituzione”.
Se poi si va a vedere di quale “merito” si parla, basta andarsi a leggere in che modo il centro destra si è presentato alle elezioni.
“Nel programma di Fratelli d’Italia troviamo: potenziamento delle scuole paritarie, voucher per le famiglie da poter spendere a scelta nelle statali o nelle paritarie, riduzione di un anno della scuola superiore, apertura ai privati per la scuola statale”.
Quanto alla ipotesi di garantire un progressivo avvicinamento agli stipendi europei, secondo il Manifesto non bisogna farsi trarre in inganno perché gli adeguamenti stipendiali si intenderanno sempre più legati alla formazione continua.
“L’aggiornamento di oggi, però, non è quello delle discipline, del sapere, della libera ricerca didattica e del confronto sui metodi: è quello ministeriale, dell’indottrinamento per imporre una didattica di regime, orientata a distruggere le discipline a favore di una scuola-animazione nella quale un po’ si lavora, un po’ si fanno esperienze, un po’ si parla di problemi sociali e personali in modo generico e propagandistico, un po’ si seducono gli allievi, il tutto in modo naturalmente tecnologico”.