È difficile quantificare il numero delle scuole Montessori nel mondo. Secondo stime non ufficiali (riportate dal Sole 24 Ore che analizza pure questa particolare istruzione) dovrebbero essere circa 20.000 (per alcuni addirittura 60.000), di cui oltre 5.000 negli Stati Uniti (200 quelle riconosciute da Ami Usa). In Italia quelle accreditate sono circa 250, un numero in lieve crescita, anche se l’espansione del metodo incontra diverse resistenze proprio nel Paese dove è stato concepito.
LA TECNICA DELLA SCUOLA E’ SOGGETTO ACCREDITATO DAL MIUR PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA E ORGANIZZA CORSI IN CUI È POSSIBILE SPENDERE IL BONUS.
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Fra i motivi di questo sviluppo limitato la legislazione, cioè la convenzione tra Onm e Miur. Se da un lato garantisce l’accesso a tutti i bambini all’istruzione montessoriana, dall’altro comporta alcuni vincoli, come la difficoltà di «istituire una classe ex novo senza che l’ufficio scolastico regionale abbia assegnato una nuova sezione alla scuola», perché comporterebbe un aggravio di spesa, cioè l’assunzione di docenti che per legge devono essere in possesso di un diploma Montessori.
Maria Montessori aveva intuito all’inizio del Novecento quello che di recente la risonanza magnetica funzionale ha confermato: «L’importanza di legare degli aspetti percettivi alla matematica». Oggi «i neuroscienziati dicono che bisogna far passare la matematica per le mani», grazie all’uso di determinati materiali come previsto dal metodo montessoriano. Se viene semplicemente imparata e ripetuta a memoria, «si attivano solo alcune aree del cervello e non si legano simboli e parole a delle quantità o a delle forme geometriche concrete».
Di recente l’Opera nazionale Montessori ha messo a punto dei corsi pilota per la formazione montessoriana di insegnanti della scuola media, in Lombardia e nel Lazio. Per il Metodo resta centrale, si legge sul Sole 24 Ore, l’osservazione dell’individuo e dell’ambiente in cui lavora, e da cui dipende la valutazione del suo processo di apprendimento che «funziona se l’insegnante ha la capacità di mettersi da parte, di non essere sempre al centro dell’attenzione». Al centro ci devono essere i bambini: «Bisogna rispettarli per aiutarli a crescere, farli vivere in un ambiente sereno, lasciarli liberi di scegliere ciò che più gli interessa e, allo stesso tempo, dargli delle regole di convivenza ed educarli a una competizione sana, quella in cui si riconosce il valore dell’altro». Oltre a questo, «serve una conoscenza approfondita della psicologia dei bambini, anche per adattare la tipologia del lavoro che si fa a scuola alle diverse fasi di sviluppo».
Preservare l’eredità del metodo Montessori, renderlo accessibile a tutti, diffonderne i principi operando nel sociale e garantendo il diritto all’istruzione anche alle comunità più svantaggiate. Sono questi i pilastri su cui si fonda l’azione della Association Montessori Internationale (Ami) di Amsterdam, associazione fedele alla proposta montessoriana ma aperta alle più diverse realtà sociali e alle nuove conoscenze che la rendono ancora attuale.
La valutazione si basa su un questionario per i docenti e sull’osservazione della classe, incentrata sulle caratteristiche ambientali e sul comportamento sia dei bambini che degli adulti. È un sistema diverso rispetto a quelli incentrati sulla valutazione dell’istruzione in base ai risultati ottenuti dagli alunni nell’esecuzione di test standardizzati.
Secondo un neuropsicologo, un sistema basato sui test catalizza l’attenzione sulle prove, trascurando aspetti importanti come lo sviluppo delle cosiddette competenze non cognitive, come empatia, lealtà, capacità di leadership e di collaborazione. I bambini devono poter «esplorare, sperimentare e scoprire i loro doni innati, interessi e valori». Solo attraverso la sperimentazione possono sviluppare una «strategia vincente per la vita» e questo processo, sostiene il ricercatore, può esser facilitato attraverso la creazione di ambienti adeguati. Nelle scuole Montessori non si guarda solo alla «acquisizione delle competenze di base, ma anche a quelle che la Commissione europea definisce competenze chiave per l’apprendimento permanente. Come imparare a imparare, imparare ad affrontare i problemi e a risolverli». Oggi ci si aspetta che anche la scuola tradizionale sia in grado di far raggiungere ai propri alunni questi traguardi. Sono competenze che possono essere misurate attraverso strumenti come il Ders, ma non dai test Invalsi che «valutano dei prodotti dell’attività scolastica, non i processi attraverso i quali si arriva a un determinato risultato
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