Una docente di lettere si è trovata a rivivere un’esperienza simile a quella raccontata dal regista Paolo Genovesi nel noto film “Immaturi” di qualche anno fa.
La professoressa – dopo quattordici anni di insegnamento- si è vista contestare l’assenza dell’esame di latino, necessario per accedere alla classe di concorso A022 (già classe di concorso 43/A- Italiano storia ed educazione civica, geografia nella scuola media).
Com’è noto ai docenti precari, la possibilità di insegnare una determinata disciplina non è legata solo al possesso di una laurea specifica, ma in qualche caso persino all’anno del conseguimento oppure alla presenza di un determinato esame nel piano di studi.
Molto spesso non sono sufficienti neppure le stesse ingarbugliate disposizioni ministeriali, tanto che lo stesso Ministero si trova costretto ad aggiungere una “Nota” o a pubblicare delle “FAQ” di chiarimento.
Come chiarito dal Ministero nel corso della causa, la Laurea in Lettere conseguita entro l’a.s. 2000/2001 era titolo idoneo per l’accesso al ruolo nella classe di concorso 43/A .
Successivamente – con la revisione delle classi di concorso – la classe di concorso 43/A venne sostituita dalla classe di concorso A22, i cui titoli di accesso prevedono -nello specifico- un corso annuale di lingua e letteratura latina.
Il fatto è che la professoressa, regolarmente inserita nelle graduatorie d’istituto dove aveva puntualmente dichiarato qual era il titolo di studio in suo possesso, aveva insegnato dal 2007 sulla classe di concorso 43/A, senza che le fosse mai stata avanzata alcuna obiezione, pur avendo provveduto a depositare il piano degli esami sostenuti.
In occasione del concorso straordinario (D.M. n.510/2020), la docente – con quattordici anni di servizio sulla materia- , aveva tutti i requisiti per presentare la domanda e si classificava quattordicesima su un totale di oltre 3.000 partecipanti.
Se non che – dopo qualche tempo -le veniva comunicata la sua esclusione dalla procedura concorsuale, per mancanza di idoneo titolo di accesso.
L’insegnante impugnava il provvedimento di fronte al Tar Lombardia, che ordinava all’Amministrazione di inserirla con riserva nella graduatoria.
La professoressa veniva immessa in ruolo e superava l’anno di prova, con brillanti risultati, tanto che uno dei suoi alunni vinceva il Premio Galdus 2023 per le scuole secondarie di primo grado, categoria poesia.
Il Ministero appellava la sentenza, da un lato ribadendo la mancanza di idoneo titolo di accesso, dall’altro contestando l’applicabilità del principio di affidamento, sottolineando piuttosto come la docente avesse rilasciato dichiarazioni mendaci in occasione dell’inoltro della domanda di partecipazione al concorso.
Il Tar aveva fondato la sua decisione osservando che per oltre dieci anni l’amministrazione aveva riconosciuto la validità del titolo di studio, assegnandole conseguentemente le supplenze tanto che la docente aveva maturato una considerevole esperienza di insegnamento.
Ad analoghe conclusioni è giunto il Consiglio di Stato, investito dell’appello, che ha affermato: “L’univoco comportamento dell’Amministrazione [protrattosi per quattordici anni- N.d.R] risulta pertanto ragionevolmente idoneo e sufficiente ai fini della maturazione, nel tempo, della convinzione di buona fede dell’interessata che il proprio diploma di laurea fosse idoneo all’insegnamento svolto”.
Né, ad avviso del Consiglio di Stato, risulta fondata la tesi secondo cui la docente avrebbe rilasciato “dichiarazioni mendaci”, solo perché aveva indicato di possedere un idoneo titolo di accesso.
Il Collegio ha ricordato infatti “la complessità e non univocità della moltitudine di disposizioni di legge, di decreti, di circolari e di provvedimenti relativi all’accesso all’insegnamento in Italia e, in particolare alla individuazione dei diplomi di laurea idonei all’insegnamento.
Una tale congerie di disposizioni può determinareuna difficile ricostruzionedella normativa da parte del cittadino, a maggior ragione qualora l’Amministrazione, vi abbia ripetutamente e continuativamente dato applicazione in senso divergente da quello reclamato in giudizio (Consiglio di Stato, n. 9488 del 3 novembre 2023).
Col definitivo rigetto dell’appello, la professoressa -dopo anni e anni di precariato e vicende giudiziarie- potrà finalmente dormire sonni tranquilli senza l’incubo di dover sostenere altri esami….
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