“Piatto ricco mi ci ficco”, questo per certi versi ci sta sembrando l’astrusa polemica che si è scatenata attorno alla idea del ministro Profumo di rivedere l’insegnamento della religione cattolica nelle scuola pubblica.
Soprattutto da parte di tanti politici che di scuola non sanno nella, né mai hanno seguito il dibattito attorno ai grandi temi della riforma o delle trasformazioni didattiche e metodologiche che essa meriterebbe.
Il solito nervo scoperto che, siccome tocca la sensibilità cattolica, induce, quasi per riflesso condizionato, chi sta al parlamento ad intervenire immaginando che nessuno capisca che è un modo per assicurasi il loro sostegno. E ciò anche se nello stesso momento dell’intervento sui grandi principi cristiani sta, lo stesso politico, prendendo una bustarella o sta rubando col malaffare, in dispregio dunque con il grande insegnamento di Cristo che invece dovrebbe essere il concetto guida per chi determina con le leggi i destini della gente.
Ma siccome, appunto, l’argomento è succulento e la demagogia è facile facile, come giocare col trenino elettrico, e allora ecco le Maiuscole: Tradizione, Cultura, Sentimento Religioso, Valori Cattolici e così via.
Pochi invece sono stati coloro che nelle parole del Ministro hanno colto il vero problema, che c’è e che occorrerebbe risolvere. Problema che non è solo quello della presenza sempre più massiccia di alunni con “culture, religioni e che provengono da paesi diversi”, ma anche quell’altro che vede gli alunni italiani, nella secondaria di secondo grado soprattutto, scegliere con sempre maggiore frequenza di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica per una serie di motivi che non vogliamo affrontare.
In molte scuole d’Italia durante l’ora di religione cattolica sta capitando quindi che il docente si trovi con classi dimezzate e con i suoi possibili alunni in giro per la scuola senza fare nulla o ammassati da qualche parte in attesa che suoni la campanella per tornare in classe, visto che l’ora alternativa non è sempre e dovunque garantita. Questo è il nodo: è eticamente e didatticamente accettabile che questi ragazzi perdano un’ora alla settimana di insegnamento?
Non ci addentriamo sulla validità culturale della religione cattolica, né sulla sua valenza disciplinare, diciamo solo che il problema nella scuola c’è, che sono molti i ragazzi che preferiscono non avvalersi e che, sfruttando la legge, perdono un’ora di istruzione per la quale hanno pagato, coi contribuenti italiani, le tasse.
Che fare allora? Ancora una volta non spetta a noi trovare la soluzione, ma conoscendo le capacità e la preparazione dei colleghi di religione molte cose si possono “inventare” per recuperare quest’ora e questi alunni e per ritrovare pure nella didattica quotidiana il grande messaggio cristiano della fratellanza, della solidarietà, della tolleranza, insieme a “quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la propria radice proprio nel cristianesimo”, come con lungimiranza ha detto un cardinale.
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