Nessuno, e quindi neanche Ulisse redivivo, è d’accordo sulla malevola proposta del Governo e del nostro ministro dell’Istruzione di portare, sic et simpliciter, l’orario di lezione da 18 a 24 ore. Seppure in ritardo anche il Pdl prende le distanze, dopo quelle del Pd, Fli, Lega e tutta la sinistra, mentre Gilda è la prima organizzazione sindacale a dissotterrare l’ascia di guerra.
E’ vero che non abbiamo sentito l’Udc di Casini, ma i sindacati della scuola che a questo centro si ispirano non hanno avuto titubanze a definire perfino “ignobili” e di “ispirazione greca” gli articoli nella Legge di stabilità che vorrebbero imporre altre 6 ore di lavoro ai professori, senza nemmeno considerare le conseguenze sulla didattica, sulla organizzazione interna alle scuole e sulla salute psicofisica dei lavoratori dell’istruzione.
Due settimane di solitudine dunque pare abbiano colpito il ministro”, di “soledad”, direbbe il poeta spagnolo dopo lo scrittore argentino, mentre solo e pensoso non sappiamo quali campi Profumo va misurando a passi tardi e lenti, in attesa di avere almeno un politico a favore, un sindacalista a favore, un docente a favore, considerato pure che perfino tutte le associazioni di dirigenti scolastici non vogliono neanche sentire parlare di tanta enormità che metterebbe ancora di più in ginocchio la scuola già provata, saccheggiata e vandalizzata, e questa volta non dai soliti bulli, ma dai diretti tutori della sua auspicata orgogliosa fioritura.
Ci permettiamo dunque un consiglio al ministro, anche per evitargli i sicuri rimbrotti di quegli insegnanti che ha molto vicino e che magari stanno subendo l’ostracismo dei colleghi: chiami qualche rete televisiva di grande richiamo nazionale oppure faccia un comizio in una di quelle piazze grandi di Roma (Piazza Venezia?) e dica al popolo e alla nazione: ci siamo sbagliati. E glielo consigliamo anche perché temiamo che se la famigerata legge non passa (e se tutti i gruppi politici al Parlamento dissentono non dovrebbe passare) qualcuno ci metterà il cappello sopra appropriandosene la paternità che invece, se anticipa tutti, potrebbe essere anche sua.
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