Come è ormai noto, il Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ha subito un autentico linciaggio mediatico per aver espresso opinioni personali sul Crocifisso nelle scuole. Durante la trasmissione radiofonica di Radio1 Rai “Un giorno da pecora” trasmessa il 30 settembre scorso, infatti, ha affermato che il Crocifisso è «una di quelle questioni divisive che possono anche attendere. Credo», ha aggiunto, «in una Scuola laica, che attraverso la laicità dia spazio a tutte le religioni e a tutti i modi di pensare».
Non ci capita spesso di trovarci d’accordo con un Ministro — al quale anche noi non abbiamo risparmiato critiche né le risparmieremo se necessario — ma stavolta non spezzare una lancia in suo favore sarebbe contrario ai principi in cui crediamo. Ben consapevole dei rischi, in un Paese in cui qualcuno ancora brandisce il cattolicesimo come una clava con cui pestare i nemici politici, Fioramonti ha avuto il coraggio di ribadire la laicità delle istituzioni della Repubblica, Scuola in particolare, sostenendo che nelle aule scolastiche non deve esister nessun simbolo, né religioso né politico, perché la Scuola è di tutti: «Ritengo che le scuole debbano esser laiche e permettere a qualsiasi cultura di esprimersi: non rappresentarne una in particolar modo. E credo che ciò sia anche tipico della nostra cultura italiana. Eviterei l’accozzaglia dei simboli, altrimenti diventa il mercato. Io direi: una Scuola laica, proprio per la nostra sensibilità italiana, per la nostra cultura che vuole la pubblica amministrazione fedele ai valori costituzionali».
Tanto è bastato perché Fioramonti si ritrovasse all’improvviso solo contro (quasi) tutti. Non solo — come è ovvio — i settori più integralisti gli si sono scagliati addosso. L’occasione era troppo ghiotta per l’opposizione: e infatti Matteo Salvini — noto difensore dei diritti umani — si è subito avventato sulla preda: «Peccato sia ministro dell’Istruzione. Io ho due figli che vanno scuola»; quasi che alla guida del MIUR ci fosse un individuo pericoloso per la salute mentale dei pargoli.
Salvini ha anche sentenziato che Fioramonti «in un Paese normale non farebbe il ministro della Scuola». Sentenza che, pronunciata da Salvini, potrebbe anche suonare come un’onorificenza (dato che nemmeno la Chiesa cattolica italiana approva incondizionatamente l’uso dei simboli religiosi per fini politici): infatti, quando era in carica, l’ex Ministro dell’Interno, per conquistare il consenso popolare, non ha esitato brandire il “Santo Rosario” (sventolandolo e baciandolo da Siracusa — davanti a quei Siciliani che un tempo offendeva — Milano, con la folla che fischiava il nome di papa Francesco) né a chiamare in causa pubblicamente la Vergine Maria.
Il grande giornalista Alessandro Sallusti (direttore de “Il Giornale” della famiglia Berlusconi), rovistando su Facebook, ha scoperto alcune frasi “colorite” che Fioramonti pubblicò nel 2013 sul proprio profilo, e che sicuramente non sono appropriate alla figura di un Ministro (anche se quell’epoca Fioramonti faceva tutt’altro che il Ministro). Ne è nato un trasversale coro di accusatori, raggianti di aver trovato finalmente “la prova” della presunta indegnità dell’inquilino di Viale Trastevere: dall’ex Ministra del MIUR Valeria Fedeli (“linguaggio d’odio, sessista, violento”) Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera (“irripetibili gli attacchi violenti e sessisti nei confronti della senatrice Santanché”); dall’altra ex Ministra MIUR Mariastella Gelmini («cattivo gusto, intemperanza verbale, ossessione nei confronti degli avversari politici o volgarità gratuite: […] una mente imprudente che dispensa odio, rancore e insulti. E chi disprezza le forze dell’ordine, vaneggia e svilisce i componenti del Parlamento non può ricoprire certi ruoli») alla Presidente di “Fratelli d’Italia” Giorgia Meloni («inneggia alla morte dei carabinieri, vomita insulti sessisti contro una donna impegnata in politica e ironizza sulla tragedia del terremoto dell’Aquila […], palesemente indegno di rappresentare la Nazione»).
Tutto, in realtà, per aver toccato un tabù — quello della presenza del Crocifisso in edifici pubblici — utilizzato solitamente per fini politici, e solo raramente per sincera sensibilità religiosa.
Eppure l’articolo 3 della Costituzione è chiarissimo ed inequivocabile: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Ne consegue che in nessuna istituzione della Repubblica possano essere esposti (cioè fatti propri dalla Repubblica stessa) simboli che sottintendano la superiorità di un genere, di un gruppo etnico-linguistico, di una religione, di un’ideologia politica, di un ceto sociale sul resto della popolazione. Punto. Il Ministro Fioramonti ha semplicemente espresso questo principio (incassando almeno il plauso dei laici e dei libertari). Come ogni Ministro della Repubblica dovrebbe fare.
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