Si è svolto oggi presso l’IISS Majorana di Bari un incontro col ministro Giannini su #labuonacuola, e in questa come in altre occasioni pubbliche in tutta Italia, i sindacati non sono invitati. Noi della FLC CGIL di Bari c’eravamo lo stesso, sebbene non invitati e non graditi, come ci ha fatto intendere il ministro e lo stuolo di osservanti dirigenti dell’amministrazione: infatti non abbiamo potuto prender parte al dibattito programmato.
Capiamo che è difficile accettare di spezzare la ritualità di questi incontri propagandistici e rigidamente preparati e incasellati, ma parlare di buona scuola mentre proprio in queste ore vengono assegnate circa 500/600 cattedre di sostegno suscita ira e sdegno.
Avremmo voluto chiedere al Ministro cosa ne pensa dell’idea di lasciare a casa diritti di alunni e lavoratori, come accaduto e Bari e in altre parti d’Italia, proprio per le inefficienze della sua amministrazione; avremmo voluto chiedere conto dei blocchi contrattuali e delle ultime chicche contenute nella Legge di stabilità (esami di stato a gratis, ulteriori tagli agli ATA, riduzione dell’organico dell’amministrazione scolastica ministeriale, ecc.). Siamo comunque riusciti ad obiettare al Ministro alcune questioni che riteniamo urgenti e basilari.
Innanzitutto, abbiamo fatto presente che il Governo sta utilizzando un metodo inaccettabile: non si confronta coi sindacati e pretende di modificare il nostro contratto di lavoro a colpi di decreto, senza un tavolo di confronto, senza l’accoglimento di proposte. Riteniamo che questo sia un grave errore di metodo, sintomatico di un clima autoritaristico che vuole marginalizzare il dissenso e che pretende di avere già in tasca tutte le ricette migliori.
Abbiamo poi contestato l’impianto della riforma, che basa la carriera dei docenti sulla competizione per l’ottenimento dei cosiddetti scatti di competenza. Il Ministro ci ha obiettato fumosamente che la competizione va intesa nel suo “significato etimologico di ricerca di un miglioramento comune, in cui la cooperazione è il modello a cui essa si associa”.
Peccato che il testo della riforma parli esplicitamente di concorrenza fra docenti per accumulare punti meritevoli di uno scatto stipendiale. Peccato che lo stesso testo inviti i docenti a spostarsi nelle scuole dove i colleghi hanno punteggi inferiori. Quello che ci chiediamo è: quale vantaggio potranno trarre gli studenti da una costante gara fra i loro insegnanti? Altro che cooperazione.
Ognuno farà per sé, più di quanto già non succeda. Il ministro Giannini ci ha anche accusati di scegliere di abbassare il livello dell’istruzione e di voler lasciare le scuole dove c’è disagio ai loro problemi. Ci sembra, invece, che questa sia proprio l’operazione a cui mira la proposta ministeriale, quando parla di finanziamenti privati alle scuole statali. Inutile chiedersi dove i finanziatori troveranno conveniente “metterci i soldi”: in una scuola disagiata di periferia con un’utenza difficile e indigente o in un Istituto prestigioso composto già da studenti buoni e bravi?
Sia chiaro, non respingiamo la Buona Scuola nella sua totalità: abbiamo proposto per primi l’immissione in ruolo dei precari, lo svuotamento delle GaE, un sistema valorizzante (ma non punitivo) di valutazione, un miglioramento della formazione dei docenti. Ma il Governo è andato troppo oltre, preconfezionando un pacchetto che, a quanto pare, non ammette repliche e modifiche e che lede alcuni principi cardine della nostra società: che la scuola statale sia finanziata esclusivamente dallo Stato, che chi vi lavora mantenga la sua autonomia e la certezza di diritti e doveri, che il contratto di lavoro rimanga un patto fra le parti e non diventi un regolamento unilaterale, che le proposte sull’istruzione di questo Paese vengano concertate con chi la scuola la vive e la rappresenta.
La “Buona Scuola” è invece un coacervo di diktat, ben confezionati, quasi accattivanti, ma spocchiosamente calati dall’alto.
Non ci stiamo, continueremo a portare avanti le nostre proteste e le nostre proposte, organiche e condivise. La “Buona Scuola” comincia da chi ci lavora.
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