Non fu un miracolo il “miracolo economico” degli anni ’60, che portò l’Italia a divenire la quinta potenza economica mondiale, ma il frutto di una buona politica ampiamente compartecipata, dotata di un progetto organico di lungo respiro, concepita e attuata da una classe dirigente di altissimo livello con i governi guidati dalla Democrazia Cristiana.
È la tesi argomentata nel libro “Non fu un miracolo – L’Italia e il Meridionalismo negli anni di Giulio Pastore e Gabriele Pescatore” (ed. Eurilink), di Vincenzo Scotti e Sergio Zoppi.
Gli autori si soffermano in particolare sul ruolo importantissimo svolto dalla Cassa per il Mezzogiorno, ente di diritto pubblico istituito da De Gasperi nel 1950 con una rilevante dotazione finanziaria, che tra il 1950 e il 1970 ridusse del 10 per cento il divario tra Nord e Sud d’Italia, realizzando nelle regioni meridionali (inclusi Abruzzo, Molise e parte del Lazio), in Sicilia e in Sardegna soprattutto strade, ponti, ferrovie, porti, scuole, ospedali, bonifiche idrauliche, dighe, acquedotti, reti elettriche e telefoniche, e impiantandovi una serie di poli industriali.
Ciò avvenne di pari passo con la riforma agraria, il piano Fanfani per l’edilizia popolare, la riforma tributaria Vanoni, la liberalizzazione degli scambi commerciali (Mercato Comune Europeo), l’introduzione della scuola media unica e obbligatoria, il diritto alla pensione per i coltivatori diretti, gli artigiani e i commercianti.
Il declino, a giudizio di Scotti, ebbe inizio negli anni ’70, quando, con l’istituzione delle Regioni, la Questione meridionale fu accantonata dalla politica nazionale e le risorse destinate al Sud non furono più gestite con la stessa efficacia del decennio 1958-1968 in cui Giulio Pastore (l’operaio autodidatta che aveva fondato la Cisl) fu ministro per il Mezzogiorno e fece della “Cassa”, presieduta da Gabriele Pescatore, un modello da imitare per la pubblica amministrazione.
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