La quarta rivoluzione industriale, quella di internet, sta producendo un lento e inesorabile cambiamento della società a livello mondiale. L’uomo è al centro di questa trasformazione.
La tecnologia e le sue diverse applicazioni stanno modificando il modo di pensare dell’uomo, ma anche i suoi comportamenti e quindi la qualità della vita. Sotto l’influenza di azioni dirette o indirette, ogni individuo sta profondamente cambiando la propria quotidianità, il modo di relazionarsi, stravolgendo consuetudini consolidate nel tempo.
Sono le relazioni ad essere maggiormente interessate da questo cambiamento, proprio perché i singoli rapporti tra individui o quelli con la collettività usufruiscono di mezzi di connessione sempre più sofisticati. L’uomo ha quindi a disposizione strumenti che fino a qualche anno fa non si conoscevano neanche, e che spingono all’interazione con dati e informazioni in continuo aumento. Siamo passati da una vita completamente analogica ad una mista: analogica-digitale, in cui l’unità di misura è il bit che si trasforma in digit.
“Cogito ergo sum” è diventato “Digito ergo sum”. Questa rivoluzione, ancora in atto, sta vivendo il suo terzo stadio evolutivo. È iniziata per mezzo di una tecnologia, internet, che è riuscita a collegare tra loro tanti computer sparsi nel mondo. Ha cioè trasformato le scatole che calcolano, “i computer”, in grado cioè di eseguire calcoli molto più velocemente di quanto non riesca a fare l’uomo, in scatole che tra loro riescono a scambiarsi informazioni, accorciando le distanze e riducendo i tempi.
Il secondo stadio ha trasformato la tecnologia (internet) in strumento per servizi di cui fanno parte: il web, i social e le mail, anche se non sono gli unici.
L’uomo ha così ristrutturato la tecnologia avvicinandola sempre più alle proprie esigenze. Qualche filosofo dice che “i servizi che oggi usufruiamo da internet hanno reso un po’ umano, ciò che prima era soltanto fredda tecnologia”.
Il terzo stadio è quello che stiamo vivendo proprio in questo periodo, ovvero il periodo del dato e dell’informazione. Navigando in Internet, con qualsiasi dispositivo fisso o mobile, produciamo infiniti dati che opportunamente elaborati diventano informazioni.
Ciascuno è al tempo stesso produttore e consumatore di informazioni, stravolgendo completamente il paradigma di un tempo, per cui se da un lato c’era chi produceva solo informazioni dall’altro soltanto chi poteva usufruirne.
Oggi c’è il mescolamento dei ruoli, quasi a sovvertire quell’ordine che per circa due secoli ha tracciato il modo di produrre informazioni. Quando si parla di informazioni, si deve pensare non solo a ciò che leggiamo sui giornali o sentiamo nei telegiornali, ma più in generale per esempio alla nostra georeferenziazione oppure alle condizioni del traffico in un determinato istante e luogo. Modi nuovi e diversi per interpretare e vivere il tempo individuale e collettivo.
È nato così un nuovo modo di dialogare tra macchina-macchina, macchina-uomo, uomo-uomo, in un contesto generale di informazioni che avvolge tutti, proprio come l’aria, definito infosfera. Ogni oggetto riesce in questo modo ad essere connesso, tramite internet, e dialogare con altri oggetti creando ciò che è definita IoT (Internet of Things).
Questo dialogo macchina-macchina sta producendo nuove categorie di applicazioni, ma soprattutto sta imponendo all’infrastruttura internet un cambiamento di tipo evolutivo. Infatti la rete Lan classica teneva al centro i server, delle aziende, che in una topologia a stella di un circuito chiuso di altri server distribuiva dati. La tecnologia di Internet era quindi concepita come nucleo di informazioni, collocata al centro di una rete, in cui le persone erano situate ai margini. L’IoT ha riequilibrato l’intero sistema, modificandolo sulle macchine in grado di dialogare.
Ogni singolo dispositivo connesso, ha certamente esigenze comunicative diverse da quelle delle persone. Le macchine infatti operano autonomamente su diversi processi, lo fanno in tempo reale, i loro risultati e il loro funzionamento influisce in tempo reale sul mondo fisico.
Tanto più, poi, localmente si riescono a ricevere feedback e controllo sulle azioni delle macchine, maggiore è il grado di soddisfazione di tutti, aumentando rendimento e sicurezza.
L’Internet of Things sfrutta così il concetto di condivisione dei “dati delle cose” basandosi su tre aspetti fondamentali: La risposta, le prestazioni, la sicurezza. La velocità elaborativa delle macchine, determina flussi di dati e informazioni in tempo reale, accrescendone la quantità. Le prestazioni, sempre più programmate dall’uomo, riescono a fornire deterministicamente risultati, accrescendo la sicurezza (ma anche la vulnerabilità) che è quindi il terzo aspetto.
L’attività della rete diventa così fulcro di queste interazioni, in cui il costo della trasmissione dei dati, e il separare le comunicazioni per aumentare la sicurezza, diventano attività imprescindibili dalla rete.
Uno dei temi di fondo che oggi pone l’IoT è proprio quello della gestione dei dati, della loro conservazione e del loro utilizzo. Si sta producendo un “sistema sociale di macchine”, che interagisce con il classico “sistema sociale umano” e che sovverte completamente il concetto di Internet così com’era stata immaginata dal suo inventore Cerf nel 1969. Il numero crescente di dispositivi connessi, la richiesta di connessione a basso costo e la difficile gestione di apparati distanti e differenti, evidenziano le criticità di Internet.
Diversi studi sulle tecnologie stanno cercando di superare queste criticità, proprio perché le opportunità delle connessioni “always online all” manifestano chiaramente il cambiamento qualitativo della vita di ciascun uomo.
In un rapporto costi/benefici, conviene investire poiché le opportunità superano gli svantaggi.
In Italia c’è un’enorme fiducia verso “l’internet delle cose” già consolidate, ma si fa molta più resistenza ad utilizzare l’Internet delle cose più innovativo. Per cui se con facilità utilizziamo le paline elettroniche o le app per informarci degli arrivi di un autobus nella smart city, oppure ci affidiamo con semplicità al controllo e all’antintrusione; siamo molto più riluttanti nel pensare di avere ed utilizzare una card il cui chip possa contenere i nostri dati compreso quelli sanitari.
È un problema di informazione e di cultura legato ad esempio al sospetto della violazione della privacy, anche se inconsapevolmente ognuno di noi la viola su sé stesso quando con il proprio smartphone rilascia dati di rintracciabilità in ogni istante.
Un’altra preoccupazione è quella legata alla perdita dei posti di lavoro, soltanto perché alcune macchine possono compiere operazioni ormai ritenute ripetitive e noiose per l’uomo.
Eppure la ricerca di persone preparate e specializzate su questi temi è in continuo aumento. Proprio da un recente studio dell’Università LinkCampus, ad opera del prof. Ferrigni e del suo gruppo di studio, da un campione considerevole di giovani maturandi cui è stato chiesto se “continuare a studiare oppure cercare lavoro” si evidenzia il dilemma, che si tramuta poi in timore ed incertezza.
Eppure le giovani generazioni che dovrebbero essere, per definizione, più inclini al nuovo, al futuro e alle sfide, tanto più si affidano alle tecnologie innovative per la quotidianità e tanto meno le percepiscono come opportunità di lavoro.
Sempre di più parliamo di vita online, il filosofo Floridi preferisce invece parlare di vita “Onlife” come combinazione di vita “online” e “offline”. Per Floridi infatti non siamo ancora una società “digitalmente compiuta”, per cui le nostre esperienze quotidiane sono un mix tra quelle analogiche e quelle digitali. Siamo passati dall’accendere il modem per “andare” su internet, quindi dalla condizione offline a quella online; ad avere in tasca uno smartphone che ci ha resi sempre rintracciabili. Se prima al cellulare si chiedeva “dove sei?”, oggi con le piattaforme del web, gli smartphone e l’IoT, viviamo nello spazio dell’informazione e interagiamo con le informazioni digitali. Non lasciamo mai l’infosfera.
Ma questo però non vuol dire essere perennemente online. Semplicemente non ha più senso chiedere a chi ha uno smart watch al polso e uno smartphone in borsa se è online. L’Onlife allora si oppone all’online, ma ne è allo stesso tempo la sua evoluzione. Proprio da questo contesto, per Floridi nasce il neologismo di Onlife, che apre un nuovo scenario sociale di digital devide tra chi può vivere Onlife e chi invece non può, o perché non è connesso o perché deve connettersi.
Si pensi ai tipi di servizi sociali erogati, alla socializzazione, al tipo d’istruzione e lavoro, alla riduzione dei costi, alla moltiplicazione delle funzioni e delle facilitazioni fornite dal digitale, e così via. Un altro modo per spiegare la stessa situazione è osservare che il digital divide si pone tra chi vive Onlife, in smart cities, e chi invece vive in ambienti (città, periferie, aree rurali) del tutto analogiche. Dobbiamo assicurarci che tutti abbiano le stesse opportunità.
Perché sono le persone Onlife che determinano la vita di quelle che Onlife non sono. La logica del mobility manager impone sempre di più servizi interconnessi, scambi di informazione tra PA, aziende di trasporto pubblico e società civile. Un traffico continuo di dati, tra enti e gestori, che possano rendere la vita di ciascuno un po’ più “informata” e meno frenetica, con la consapevolezza di cedere costantemente un pezzo delle nostre informazioni. Un codice etico sulla privacy che investe tutti, per il bene collettivo. Una pratica condivisa di esercizio in cui il rispetto per sé stessi e gli altri è alla base.
Quando si parla di mobility manager si intende quella “responsabilità sociale” a cui siamo chiamati a rispondere come momento di condivisione collettivo. Certo le aziende e la PA sono interessate direttamente nel dover pensare a soluzioni sostenibili, la comunità a sostenerle con la presa in carico e l’attuazione. Un sistema di sinergie per il bene comune. La tecnologia può essere determinante per le scelte, incentivare le soluzioni, coinvolgere tutti a basso costo. Rimane come tema principale la “coscienza collettiva” che deve animare il comportamento dell’uso, il rispetto nel coinvolgimento, l’attenzione al futuro visto con l’esperienza del presente.
Dati e informazioni sono la prossima vera ricchezza, il loro possesso e utilizzo non è banale, occorre formare una cultura alla “cittadinanza digitale” che condivida la partecipazione. Si diventa cittadini digitali delle smart cities non con il possesso delle tecnologie, ma con l’etica dell’utilizzo e l’attenzione alla persona. L’infosfera è la realtà e non ce ne rendiamo conto, occorre guidare sul web un processo di organizzazione e diffusione dell’informazione eticamente corretta, energica nelle scelte dei contenuti, per un ritorno sul territorio e sulla comunità dei cittadini.
Proprio per questo a quattro giovani studenti romani, di età differenti, abbiamo chiesto come percepiscono il mobility manager dal loro punto di vista. Un osservatorio privilegiato, quello dei ragazzi, che ogni giorno devono fare i conti con il trasporto locale per raggiungere le loro mete.
A Giulia S. di 9 anni chiediamo:
D: Quale scuola frequenterai da settembre e quanto è lontana da casa tua?
R: Inizierò a frequentare la prima media, e la scuola non è molto distante da casa. Comunque ci sarà un po’ da camminare, per questo ho comprato uno zaino con le rotelle.
D: Come raggiungerai la scuola? Finora come hai fatto?
R: Continuerò ad andare a piedi, anche perché non esiste un mezzo pubblico che mi porta direttamente da casa a scuola. È successo anche per le scuole elementari, mamma continuerà ad accompagnare me e mia sorella.
A Matteo B. di 14 anni chiediamo:
D: Da settembre come raggiungerai la scuola?
R: Necessariamente con l’autobus o la metro. Da quest’anno inizierò il Liceo e se finora sono andato a scuola a piedi, perché relativamente vicino casa, ahimè ora la distanza maggiore mi costringerà all’uso dei mezzi pubblici.
D: Come ti immagini questi spostamenti?
R: A giudicare dalle condizioni del traffico di Roma credo sarà una vera avventura ogni giorno. Per questo dovrò uscire molto presto da casa. L’indisciplina degli automobilisti, i ritardi dei mezzi, costringono a lunghe attese e a viaggiare come sardine. Spererei nell’efficienza dei mezzi.
D: Riesci ad ipotizzare un sistema migliore per il raggiungimento della scuola?
R: Ogni mattina siamo in tanti fra studenti e insegnanti a muoverci per raggiungere le scuole. Occorrerebbe pensare ad un trasporto privilegiato e protetto nelle fasce d’orario d’entrata e d’uscita. Poter contare sulla puntualità è fondamentale. Un modello scuolabus all’Americana.
Ad Andrea C. di 19 anni chiediamo:
D: A settembre inizierai l’Università. Come hai raggiunto la scuola in questi anni? E con l’Università cambierà qualcosa?
R: La metro è stato il mezzo che tutte le mattine mi ha portato a scuola. Purtroppo è andata sempre peggio. Il non poter contare sulla puntualità e l’eccessivo affollamento mi hanno costretto a levatacce per evitare i ritardi in entrata. Troppa utenza concentrata in quell’ora e scarso servizio. Per l’Università le cose non cambieranno, anche perché usare la macchina sarebbe molto costoso, forse avrò più flessibilità con gli orari.
D: Che soluzione adotteresti per il trasporto scolastico?
R: Punterei sull’ecologico e il rispetto dell’ambiente. Piccole navette elettriche, cordoli di protezione per percorsi guidati, alta frequenza delle corse. Un servizio a misura di studenti che copra tutta la città, partendo da punti di ritrovo diversi da quelli del trasporto cittadino e che serva studenti di scuole medie, scuole superiori e università. Un modo diverso anche per confrontarci, del resto siamo tutti lavoratori dello stesso settore, anche se con indirizzi diversi.
A Francesca M. 26 anni chiediamo:
D: Usi i mezzi pubblici della città? Con quale frequenza?
R: A breve completo l’università. Sin dal liceo ogni mattina mi servo degli autobus. Un servizio su cui non si può contare, per puntualità e per affollamento. Qualche volta uso la metro, ma le cose non cambiano. Anche nel resto della giornata utilizzo i mezzi pubblici per gli altri spostamenti.
D: Hai mai pensato ad utilizzare un mezzo personale?
R: Il traffico e il parcheggio rendono proibitivo l’uso della macchina. Inoltre la scorrettezza e l’indisciplina degli automobilisti mi hanno fatto desistere dall’idea del motorino o della bici.
D: Cosa pensi delle soluzioni di sharing per voi studenti maggiorenni?
R: I costi sono ancora molto alti. Con una buona azione culturale, potrebbe diventare uno strumento da seguire in condivisione. Ma dovrebbe essere un servizio gratuito o al costo della tessera annuale. Se poi fosse elettrico sarebbe fantastico. All’università ho studiato diversi di questi modelli. Tutti teorici. Nella pratica non ne ho visto neanche uno applicato. Potrebbe essere un esperimento pensato e gestito anche con noi universitari.
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