Un alto numero di alunni e studenti respinti non è sinonimo di una scuola di qualità, ma di un Paese che non aiuta gli studenti più svantaggiati e nemmeno cura a dovere i propri risparmi: la sentenza arriva da uno degli organismi più importanti e obbiettivi a livello internazionale, l’Ocse, che ha appena pubblicato gli esiti del Programma di valutazione dei sistemi educativi (Pisa). Dalla parte quantitativa dello studio risulta che la media di alunni bocciati dei Paesi dell’area Ocse è pari al 15%: il 7% alle elementari, il 6% alle scuole medie e il 2% al liceo. Solo che in Giappone ed in Finlandia è vicina allo zero, in Gran Bretagna non supera il 3%, mentre nel centro Europa, in particolare in Francia (che detiene il record del vecchio continente) e Belgio, è addirittura superiore al 30%. L’Italia, con il 18%, si colloca un po’ sopra la media, con un tendenza all’aumento del numero di ripetenti, soprattutto alle superiori, in particolare per la condotta:è bene ricordare che si tratta di dati di cui negli ultimi anni il ministro Gelmini è sembrato andare fiero, perché associati al ritorno della scuola del rigore e della serietà.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi all’istruzione degli alunni, ma anche ai vantaggi dei vari Paesi analizzati, l’Ocse non ha dubbi: quelli con maggiori tassi di ripetenti “di anni scolastici – sostiene l’Ocse – sono anche quelli che mostrano la performance più scarsa degli studenti. Nei Paesi in cui un maggior numero di studenti ripete gli anni scolastici la performance globale tende ad essere inferiore, e il background sociale ha un impatto maggiore sui risultati di apprendimento che in Paesi in cui meno studenti ripetono”. Un alto numero di ripetenti crea, di fatto, “una segregazione nel sistema scolastico”, perchè gli “studenti originari di contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori”. Bocciare un alto numero di alunni è quindi una pratica che rischia di emarginare gli studenti con meno mezzi culturali ed economici, senza peraltro produrre in loro un miglioramento dei risultati.
Ma c’è dell’altro: a lungo andare la tendenza a fermare gli alunni crea anche un danno per l’economia del Paese. Si tratta di un aggravio di costi sociali non indifferenti, che vanno dalla mera ripetizione dell’anno scolastico (in Italia il Miur spende tra le 7 e lo 8mila euro l’anno ad iscritto) al ritardo con cui i giovani ripetenti si affacceranno nel mondo del lavoro.