Forse il più grande costruttore di muri di questi anni è Donald Trump. Si deve a lui il ritorno prepotente di una parola che, da circa 30 anni, era sembrata dismessa: muro, da lui prospettata come risoluzione ad uno dei problemi epocali del nostro mondo, l’immigrazione dal Messico verso gli Stati Uniti.
E se quello costruito in una notte a Berlino, dapprima col solo filo spinato, divenne poi una frontiera davvero invalicabile, grazie alle 116 torri di guardia e ai 20 bunker distribuiti lungo i 140 km e soprattutto alla spietatezza dei famigerati Vopos, la polizia popolare tedesca – che secondo stime ufficiali fece quasi 150 vittime – , quello voluto da Trump sembra essere già sostanzialmente un flop.
Infatti l’iniziatore è stato Victor Orban, nel luglio del 2015, che ne ha fatto costruire uno al confine con la Serbia, per bloccare o comunque deviare la cosiddetta rotta balcanica dei profughi che dalla Grecia risalgono fino al cuore dell’Europa. E poi ha deciso di raddoppiare al confine con la Croazia.
Muro deriva dal latino murus e fa riferimento alla muraglia perché per il muro di casa la parola usata era un’altra, paries, e anche nelle parole sanscrite le parole mura e murami i significati prevalenti sono quelli di chiusura, di qualcosa che avvolge e circonda.
Tuttavia con Papa Francesco al muro si è contrapposto la costruzione di ponti, quasi un controcanto alla retorica nazionalista del muro.
E nonostante tutto – si legge su Ansa- la stessa parola muro alimenta un’ambiguità positiva. Ogni muro infatti segna un confine e il confine, come ci suggerisce la sua stessa etimologia, cum-finis, richiama la presenza dell’altro, di qualcuno ‘con’ cui siamo, vicini, molto vicini anche se separati.
Il muro ha una tale forza semantica e simbolica da essere stato utilizzato in decine di locuzioni e modi di dire che rimandano tutti all’idea di opposizione, difesa, dimensione coatta: da fare muro al muro della pallavolo, dal muro di gomma a parlare al muro o mettere al muro.
Anche il poeta Eugenio Montale del muro aveva fatto metafora di vita in una delle più celebri poesie italiane del ‘900, Meriggiare pallido e assorto.
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