Il no a Rodotà ha forse radici profonde

Stefano Rodotà, che per qualche ora è stato candidato alla presidenza della Repubblica dal Movimento 5 stelle e da Sel di Niki Vendola, è pure molto caro al comitato di Bologna, di cui è presidente onorario e primo firmatario in Italia del referendum per abolire il finanziamento pubblico alle scuole private in omaggio all’articolo 33 della Costituzione: “Prima bisogna garantire l’istruzione statale”, dice con convinzione. “Le scuole private si possono liberamente istituire senza oneri per lo Stato, è un principio della Costituzione. Sempre la Costituzione prevede che sia la Repubblica istituire le scuole statali, di ogni ordine e grado. E quando ci sono difficoltà economiche, bisogna prima di tutto garantire le risorse per le scuole statali”.
Primo garante dei beni comuni, è stato anche tra i promotori del referendum sull’acqua, che lo ha reso molto gradito al popolo di Grillo. Ma forse la questione che più di ogni altra lo ha reso noto è stata la sua lotta sulle questioni etiche a cominciare da “caso Welby” a quello di “Eluana Englaro”, per i quali in una intervista si espresse nel modo seguente: “Una guerriglia istituzionale è in corso, che nega l´umana pietà, ma che mette pure in evidenza un impasto tra arretratezza culturale e piccola furbizia politica.”
Il passaggio successivo è quello di una proposta per una legge sul “testamento biologico”, mentre “una politica intimamente debole cerca di impadronirsi della vita delle persone. Ma così segna una distanza, mostra la sua incapacità di comprendere il mondo che cambia, rinuncia a fare del diritto uno strumento rispettoso della libertà e della stessa umanità delle persone.”
Forse potrebbero essere state queste le motivazioni che hanno per certi versi ostacolato una unanime decisone del Partito democratico di sostenere la candidatura di Rodotà a presidente della Repubblica. 
Uno stridente contrasto fra le anime interne al Pd dove convive una matrice laica e libertaria e un’altra cattolica e più conservatrice.
E parte questo breve excursus, Wired pubblica sul suo sito il motivo per cui il “No a Rodotà sarebbe stata un’occasione persa” 
Per spiegare perché Stefano Rodotà sarebbe stato un presidente della Repubblica molto Wired si può partire da qui. Dalla proposta (sua e di Wired, appunto) di sancire in Costituzione (datata 1948) il diritto di accesso a Internet, il medium che definisce la nostra epoca.
Diritti fondamentali e nuove tecnologie sono infatti da sempre l’orizzonte di questo giurista classe 1933 che nelle pieghe più avanzate del nuovo millennio si muove con l’agio di un ragazzino e la sicurezza di un professore universitario. E che al Colle avrebbe potuto portare la sapienza per affrontare le sfide più pressanti dei nostri tempi che, guarda caso, risiedono quasi tutte nell’intreccio tra innovazione e società.
Decine di libri, centinaia di articoli e innumerevoli battaglie politiche e intellettuali di Rodotà.
Il suo primo testo sulla bioetica risale al 1993 quando il caso Englaro (su cui avrebbe preso posizioni in dissenso con il governo) era un’ipotesi di scuola. Le sue prime riflessioni su come la tecnologia può essere impiegata per il controllo sociale datano 1973, anno del golpe di Pinochet in Cile.
La presidenza dell’ Autorità garante della privacy (1997-2005, gli anni in cui esplodeva l’Internet di massa) gli ha dato l’occasione per approfondire concretamente il tema. Quanto al rapporto tra tecnologie e democrazia, ne scriveva già nel 1997 quando ancora Beppe Grillo, il suo sponsor attuale, distruggeva i computer.
Con un simile pedigree non stupisce che il sostegno alla sua candidatura alla presidenza della Repubblica abbia trovato grandi sponde sul Web tra appelli, petizioni e azioni di pressione sui grandi elettori.
La Rete è diventata negli anni l’oggetto prediletto dell’analisi e dell’attivismo di Rodotà. Da tempo si batte, anche contro le posizioni libertarie che sono nel dna di Internet, per un Internet Bill of Rights. Incurante delle accuse di velleitarismo, porta avanti la sua idea sui media e in tutte le sedi possibili, dall’ Internet Governance Forum dell’Onu, all’ Unesco, al Parlamento europeo.
Dopo tutto vanta anni di militanza a sinistra (quattro volte eletto al parlamento italiano e una in quello europeo per Pci e Pds). Questo imprinting gli ha regalato dosi abbondanti di pazienza, ottimismo della volontà e passione per la conoscenza che diventa attivismo. Ma, soprattutto, gli ha regalato la convinzione che il cambiamento, per essere efficace, debba passare attraverso le istituzioni e farsi infine diritto. Visto così Rodotà sembra quasi un ponte tra il meglio di due secoli. Anche per questo dal Colle sarebbe potuto diventare il cavo che interconnette le diverse anime – contemporanee e novecentesche – in cui, come hanno certificato le ultime elezioni, è spaccata la società italiana. 

Pasquale Almirante

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Pasquale Almirante

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