Quello del reclutamento del personale docente è diventato ormai il problema più urgente e più complesso da affrontare e da risolvere per il nostro sistema scolastico.
Nel corso degli anni, anzi dei decenni, sono state tentate diverse strade ma non si è ancora riusciti a trovare una soluzione soddisfacente.
I tradizionali concorsi, che un tempo – almeno per infanzia e primaria – venivano banditi con una certa regolarità e garantivano quindi la copertura dei posti, si stanno rivelando ormai inadeguati a selezionare il personale da immettere in ruolo.
L’esperienza di queste settimane dimostra anche che l’idea di affidare la selezione dei docenti ai test “a crocette” si sta rivelando pressoché fallimentare; questa modalità, fortemente voluta dal ministro Renato Brunetta, era stata introdotta con il decreto legge 44 del 2021allo scopo di velocizzare le procedure concorsuali. Quando il decreto venne esaminato dal Parlamento per essere convertito in legge il M5S obiettò che il meccanismo avrebbe avvantaggiato i precari con molto servizio penalizzando i neolaureati che non avrebbero potuto far valere il punteggio dei titoli.
Alla fine, la Commissione Cultura del Senato votò a favore del provvedimento limitandosi ad osservare che “in considerazione della specificità del comparto scuola, è necessario contemperare le semplificazioni previste con le legittime aspettative di tutta la platea dei potenziali aspiranti”.
Stando però ai resoconti parlamentari non vennero sollevate particolari obiezioni sull’idea di utilizzare per la selezione una prova scritta “informatizzata”.
Peraltro quando il decreto 73 del 2021 (in quel momento il ministro era proprio Bianchi) fu convertito in legge il nuovo meccanismo venne pienamente confermato.
Il comma 10 dell’articolo 59 del provvedimento prevede infatti che in sostituzione della o delle prove scritte consuete il concorso si deve svolgere con “una unica prova scritta con più quesiti a risposta multipla, volti all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato sulla disciplina della classe di concorso o tipologia di posto per la quale partecipa, nonché sull’informatica e sulla lingua inglese”.
Una modalità di reclutamento importante era quella del decreto legislativo 59 del 2017, decreto adottato dal Governo in applicazione della legge 107/2015 (la cosiddetta “Buona Scuola”), che prevedeva per l’immissione in ruolo un percorso triennale di formazione iniziale e tirocinio (il cosiddetto FIT).
La proposta, di fatto, non ha mai trovato applicazione anche per la contrarietà delle organizzazioni sindacali e dei partiti di opposizione (M5S in particolare).
E in effetti quando nel 2018 si formò il nuovo Governo giallo-verde (M5S e Lega) la nuova maggioranza si mise subito al lavoro per modificare il decreto, tanto che con la legge di bilancio votata a fine dicembre di quell’anno il provvedimento venne ampiamente rimaneggiato e gran parte degli articoli vennero abrogati.
E, per ribadire che il FIT renziano doveva considerarsi morto e sepolto, nella legge venne introdotta una frase semplice ma inequivocabile: le parole “percorso FIT”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: percorso annuale di formazione iniziale e prova.
Adesso, a distanza di quasi 4 anni, da diverse parti si parla di nuovo di corso-concorso ovverosia di un modello che in qualche modo richiama anche il famigerato FIT.
Ma c’è anche chi, come il senatore della Lega Mario Pittoni, vorrebbe coniugare il ripristino di qualche pezzo del decreto 59 con il ritorno dei PAS, i percorsi abilitanti speciali.
Lo prevede una sua disposizione per far rivivere gli articoli 15 e 16 del decreto 59/17, abrogati proprio per volontà del ministro Bussetti a fine 2018; nella disposizione Pittoni inserisce una norma che così recita: “In sede di prima applicazione della presente disposizione e nelle more dell’espletamento dei concorsi ordinari nonché dei percorsi accademici ordinari finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, sono istituiti nelle università e nelle istituzioni AFAM percorsi annuali di specializzazione finalizzati al rilascio dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria. I suddetti corsi sono riservati, senza l’espletamento di alcuna procedura selettiva, a tutti coloro che abbiano prestato almeno tre anni di servizio anche non continuativi nelle scuole del sistema pubblico italiano di istruzione e formazione”.
Spiega Pittoni: “Si tratta di una proposta già presentata in fase emendativa di vari decreti con le difficoltà che si possono immaginare; ma c’è l’urgenza di riattivare questi percorsi per limitare i problemi che creerà il concorso della secondaria, irresponsabilmente fatto partire senza pensare alle conseguenze sul precariato storico confinato in seconda fascia per mancanza di percorsi formativi abilitanti, mi ha costretto a chiedere al ministro di farsene carico direttamente e in tempi stretti”.
Intanto il ministro Bianchi, dopo aver impropriamente addebitato ai predecessori la “prova scritta a crocette”, ha ribadito che entro giugno presenterà una proposta organica di riforma delle procedure di reclutamento.
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