Ipse dixit: “i “compiti di realtà sono esperienze di apprendimento più agganciate alla realtà, esplicate in termini di ricerca-azione e/o di problem solving”. Egli ha esposto il concetto in estrema sintesi, ma non mi pare che ci sia alcunché di nuovo in tutto ciò.
I funzionari del MIUR, i dirigenti e i burocrati pretendono di spacciare in quanto “novità” rivestite in una veste terminologica diversa, delle idee che sono datate di almeno 90 anni. Ma non è altro che una “minestra riscaldata”, ovvero la rivisitazione in chiave aziendalista di quella “didattica attiva”, cioè un principio noto agli “addetti ai lavori” da oltre cent’anni.
Basti solo pensare che già la grande pedagogista Maria Montessori, ai suoi tempi, a cavallo tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, mise in atto esperienze di pedagogia attivistica. Il dato che più irrita è che i burocrati ed i vari funzionari della “Mala scuola”, si arrogano il diritto di “resettare” il prezioso patrimonio teorico-pratico della storia della scienza psico-pedagogica, con l’intento di spacciare e propagandare simili baggianate come se fossero delle novità assolute: una sorta di “manna dal cielo” calata all’improvviso dalle “alte sfere” del MIUR.
Il guaio è che stanno ingabbiando il lavoro dei docenti, la cui essenza più nobile ed entusiasmante consiste proprio nella capacità ed attitudine all’improvvisazione. Un insegnante deve saper reagire positivamente agli stimoli provenienti dai discenti, che non si possono rinchiudere in griglie aride ed inutili, funzionali soltanto ai burocrati della scuola.
In altri termini, stanno costruendo una scuola che deve sfornare solo anonimi impiegati, una scuola in cui l’estro e lo spirito critico sono azzerati in funzione della competizione più sfrenata in un mercato del lavoro al ribasso.
Lavoro che, oltretutto, nemmeno si trova, in quanto imperversa il precariato a vita.
Lucio Garofalo
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