Gli ebrei sono più che mai “i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede”: lo ha detto papa Francesco ieri alla sinagoga grande di Roma, per rimarcare l’appartenenza “ad un’unica famiglia” e “l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei”. Ed è un’unità, ha fatto appello Bergoglio, ancor più necessaria in un’epoca di estremismi religiosi che seminano terrore. Dopo aver pregato alla lapide del rastrellamento del Ghetto e salutato gli ex deportati, sopravvissuti ai lager, il Pontefice ha richiamato a che non siano mai dimenticati gli orrori della Shoah, una “lezione” perenne, “per il presente e per il futuro”.
L’omaggio alla lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943 e quello all’effigie in ricordo di Stefano Gai Taché, il bambino ucciso nell’attentato terroristico del commando palestinese nel 1982, con l’incontro con la famiglia e le persone rimaste ferite, sono stati i due intensi momenti iniziali della visita alla comunità ebraica. All’interno della Sinagoga, accompagnato dal rabbino capo Riccardo Di Segni, il Papa ha quindi lungamente salutato e stretto le mani ai rappresentanti dei rabbinati, delle comunità ebraiche italiane e straniere, ai rappresentanti dello Stato di Israele, agli anziani ex deportati. Presenti anche la ministra Stefania Giannini.
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È stato, fa le altre commemorazioni, ricordato quanto patito dagli ebrei sotto il nazismo. “Il 16 ottobre 1943 – ha rievocato la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello-, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. E al suo commosso saluto rivolto ai “testimoni della Shoah ancora viventi”, presenti in prima fila nel Tempio, tutto l’uditorio si è alzato in una ‘standing ovation’.