“La scuola riflette un contesto tradizionalmente patriarcale e quindi non solo non contribuisce abbastanza a combattere le disuguaglianze di genere, ma ripropone in aula le stesse dinamiche discriminatorie che le nostre studentesse incontrano fuori”: così in un articolo del quotidiano Domani
La scuola specchio della società e dunque luogo nel quale il patriarcato, superato secondo il ministro Valditara, avrebbe la sua conseguente espressione, forma e condizione del tutto simile a quello presente nel paese.
E se il “femminicidio è un omicidio commesso in relazione alle caratteristiche attribuite a una persona che viene considerata gerarchicamente inferiore”, tale presunta inferiorità si rifletterebbe anche nelle classi delle scuole, in perfetta simbiosi con quanto il patriarcato declama, collocando le donne in una posizione di inferiorità nella vita personale e in quella lavorativa, con l’obiettivo di controllare la componente della popolazione che non è “allineata con la parte gerarchicamente superiore che è bianca, maschile, eterosessuale, abile e soprattutto detiene il potere politico ed economico”.
Se il problema, si legge sul Domani, viene osservato con gli occhi delle studentesse ci si accorge che viene perpetrata nei loro confronti “una forma di educazione diversa da quella dei coetanei maschi: dal comportamento in pubblico all’abbigliamento, fino allo sviluppo di un’autostima legata al bisogno di rispondere in modo soddisfacente alla pressione estetica”.
Al contrario del maschi i quali vengono spinti verso un mondo senza manifestazioni di affettività, caratterizzato da indipendenza, prevaricazione e competizione, predisponendoli verso carriere scientifiche o più remunerative o più prestigiose, mentre “il lavoro di cura (come viene a volte percepita la scuola d’infanzia) sia ambito tipicamente femminile”, proponendo “un modello di donna letterario filtrato sempre e solo da uno sguardo maschile”.
Ma l’affondo arriva, quando vengono citate le ricerche sull’argomento secondo i quali verrebbe attestato che “gli insegnanti, indipendentemente dal genere di appartenenza, interagiscono di più con i maschi che con le femmine perché risultano più problematici in relazione al comportamento e alla continuità dell’apprendimento. Dalle ricerche emerge anche che se le ragazze intervengono in aula ricevono più interruzioni dai loro compagni e meno rinforzi da parte degli insegnanti, così tendono a recepire il proprio contributo come meno determinante sul clima di classe”.
Soluzione per abbattere questa sorta di patriarcato strisciante?
Implementare “l’educazione all’affettività e la rinuncia a una visione binaria e sessista della società e garantendo pari accesso all’istruzione, contrastando la segregazione formativa, rimuovendo ostacoli e fattori di insuccesso, combattendo gli stereotipi sessisti che ci ingabbiano”.
Tuttavia, per la definitiva sconfitta della discriminazione di genere a scuola e dunque del patriarcato, occorre, sottolinea Domani, “mettere sotto indagine l’intero processo pedagogico, il modo in cui ci rapportiamo agli studenti, la libertà e l’autonomia che riconosciamo loro in quanto persone”, abbandonando dunque “l’idea di una didattica trasmissiva e di una logica sanzionatoria; sostituire alla scuola della competizione un modello solidale e collaborativo, restituendo a questa parola il significato di comunità in cui i membri di questa comunità possono riconoscersi come persone libere e uguali”.