Le elezioni, prima le regionali ed ora le comunali (con Venezia e Arezzo perse in modo inatteso), confermano che il Pd è in perdita di consensi. La netta vittoria alle europee di un anno fa, col 40,8%, sembra un lontano ricordo: “l’anno scorso era luna di miele – dice un parlamentare renziano all’agenzia Tmnews – ora siamo nei casini, tra emergenza immigrati e scuola, il clima è un altro…”.
E la prova del nove la si avrà proprio sulla riforma della scuola: se la minoranza blocca il provvedimento, sarà scontro e non si potrà escludere nulla. I segnali, per ora, non sembrano drammatici: sia il bersaniano Maurizio Migliavacca che Walter Tocci, secondo quanto viene riferito, avrebbero dato assicurazioni di non voler far cadere il governo e le trattative per arrivare a un’intesa sono in corso. “Ma è chiaro – avverte un altro renziano – che se qualcuno vuole far passare lo stralcio delle assunzioni e rinviare la riforma, salta tutto“.
Così, si aprirebbe la strada dell’approvazione a colpi di fiducia. Sovvertendo l’iniziale volontà del Pd di passare per il ddl, proprio per stabilire un confronto aperto e ragionato con tutti. Una scelta che, però, alla lunga potrebbe rivelarsi fallimentare.
In Commissione Istruzione la situazione è questa. Da un lato c’è Forza Italia, che ha ripreso vigore dalle vittorie del centrodestra unito, la quale difficilmente farà concessioni o darà aiuti per fare passare la riforma. Dall’altro c’è la minoranza del Partito democratico che stavolta, a differenza di quanto accaduto alla Camera, potrebbe puntare i piedi in blocco.
Poi ci sono i numeri: 12 senatori per l’opposizione – agguerriti e “pronti a tutto” per cambiare una riforma giudicata pessima da Sel e Movimento cinque stelle – 15 per la maggioranza. Tra questi, però, ci sono alcuni dissidenti dem Corradino Mineo (che ha già messo la mani avanti, perché “non si gioca sulla vita dei docenti”) e il senatore a vita Carlo Rubbia, sempre a rischio sostituzione. E lo stesso Walter Tocci.
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Per il partito di maggioranza siamo quindi al crocevia: cosa fare? Se si esclude il voto di fudicia, rimangono solo due possibilità: giocarsi il tutto per tutto rischiando che sull’articolo 10, quello sul piano di assunzioni dei precari – sul quale Sel ha presentato un emendamento che chiede lo stralcio delle immissioni in ruolo dal corpus complessivo della riforma – i fronti delle opposizioni si coalizzino battendo la maggioranza; oppure trovare un accordo, ma al prezzo di modifiche ad alcune parti sostanziali della riforma come la chiamata diretta dei docenti e i super-poteri ai presidi.
In ogni caso, “se non si fa in fretta – avverte un senatore Pd -, si rischia di non fare comunque in tempo a far partire le assunzioni per il 2016, potrebbe slittare tutto di un anno. E, in quel caso, Renzi potrebbe scaricare la colpa sulla minoranza. Uno scenario che potrebbe avviare una corsa verso il voto anticipato. “La voglia di far saltare il tavolo da parte di qualcuno c’è“, dice sempre una voce interna.
Alla fine della fiera, è sempre più probabile che il piano del premier sulla riforma scuola e sulla tenuta del suo Governo, venga salvato dai voti del gruppo legato a Denis Verdini, in rotta con Berlusconi: un soccorso, quello azzurro, che farà discutere. Ma che, in ogni caso, non consentirebbe prospettive di durata della legislatura sino al decantato 2018.
E pensare che la scuola doveva essere il bacino di elettorato da salvaguardare e da cui raccogliere consensi: ora, invece, potrebbe diventare il motivo di frantumazione del progetto Renzi.
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