Le linee di indirizzo sulla scuola, esposte dal Ministro Giannini al meeting di Comunione e Liberazione e certo non per pura coincidenza, sono davvero una “rivoluzione”, ma di di tipo regressivo e di stravolgimento classista e reazionario della scuola pubblica italiana e infatti ripropongono quasi pedissequamente le vecchie impostazioni fallimentari degli ’ex Ministri Gelmini e Aprea.
Negli annunci della Giannini non c’è una sia pur minima certezza sul capitolo delle risorse disponibili, dopo mesi di propaganda e annunci su stanziamenti mirabolanti per l’edilizia scolastica pubblica, a fronte di condizioni di degrado progressivo e inarrestabile dell’intero comparto scolastico pubblico, non c’è nessuna idea di riqualificazione culturale e formativa, se non lo zuccherino di più ore di musica e storia dell’arte, specchietti per le allodole in un disegno che invece si muove su assi precisi di dequalificazione ulteriore della scuola pubblica, fino alla proposta assurda e in controtendenza rispetto agli standard europei, oltrechè culturalmente regressiva, di diminuire l’offerta formativa superiore da cinque a quattro anni.
Scuola pubblica in dismissione dunque, a partire dalla sua parificazione con il sistema delle scuole private, cui si offre la torta della defiscalizzazione delle spese per quelle famiglie che opteranno in tale senso per la formazione dei propri figli; a seguire con la distruzione definitiva di ogni regola contrattuale che garantisca diritti, doveri e responsabilità educative e formative ad un corpo docente stremato da anni di incerte e fumose giravolte sulla sua missione, sulle modalità di reclutamento, con l’uso spregiudicato del ricatto occupazionale che ha fatto degli insegnanti italiani la categoria di lavoratori della conoscenza più mortificati d’Europa.
Sparisce così ogni impegno per il rinnovo del contratto nazionale, si intende togliere salario a tutti con il superamento degli scatti per dare soldi a pochi utilizzando il vecchio progetto dell’Aprea, ma chi giudicherà il merito degli insegnanti, e in base a quali criteri?
Dunque non c’è alcun progetto per stabilizzare gli organici e riformare il reclutamento superando il precariato. La demagogia della Giannini – “aboliremo le supplenze” – maschera l’ulteriore indebolimento della scuola pubblica, degli apprendimenti e dei diritti degli studenti, con un impoverimento del curriculum della scuola superiore; aumentando il carico di lavoro frontale dei docenti. Non eliminerebbe “fisicamente” i 400mila docenti presenti nelle graduatorie di istituto, ma favorirebbe la loro espulsione definitiva da un sistema iniquo, che ne ha sfruttato per anni il lavoro, con la promessa di un posto futuro che in tal modo non arriverà mai.
Le parole del ministro, pur se volutamente fumose non nascondono però il disegno di fondo che accumuna il suo progetto a quelli di Aprea e Gelmini: piegare la scuola pubblica alle logiche delle imprese e del mercato, e mentre si promettono più soldi alle scuole private, le tanto decantate autonomie scolastiche sono ormai senza risorse e niente viene proposto per il sostegno alle famiglie che non sono più in grado di sostenere i costi per fare studiare i figli. Con questa proposta si aggrava paurosamente il divario tra la previsione costituzionale del diritto allo studio, e si mette in moto un meccanismo che può riportare la scuola italiana verso antiche impostazioni di classe e di separazione tra i saperi. Il governo Renzi, tramite il Ministro Giannini dichiara così al meeting di CL, nel cuore del sistema privatistico di istruzione e sanità, che si intende attaccare la scuola italiana nella sua missione di luogo pubblico di formazione democratica e civile dei cittadini, rendendola ancor più selettiva ed esasperando la frattura educativa e culturale, come nella migliore tradizione delle società fondate per principio sulla diseguaglianza, tra formazione accademica e formazione professionale
Per noi Comunisti Itaiani, i punti di partenza devono essere invece, e lo andiamo ripetendo da anni, e non da soli, l’elevazione dell’obbligo scolastico a 18 anni, nuovi e strutturali investimenti di risorse e di progettualità in grado di risollevare il livello ed della scuola pubblica italiana, il superamento di ogni forma di precariato che condanna centinaia di migliaia di insegnati a vivere decenni nella scuola senza speranza di un lavoro serio e stabile in un settore che, per definizione, non può vivere di casualità ma di progetto. Questo quadro di obbiettivi darebbe sostanza alle politiche per il diritto allo studio negate da questo governo, e può diventare la piattaforma per cui battersi e mobilitare le energie politiche e sociali che nel paese ancora investono sulla democrazia e sulla costituzione.
Il Pdci si schiera dunque al fianco delle organizzazioni sindacali dei lavoratori della conoscenza, degli studenti e di tutte le famiglie che ancora vogliono un futuro dignitoso e di crescita culturale e sociale dei loro figli,
La condizione per invertire la crisi del sistema educativo e di istruzione è tornare a investire per migliorare la qualità dell’offerta formativa, non certo diminuirne qualità e durata, una scelta miope che indica da sola in quale considerazione questa cosiddetta classe dirigente tenga l’istruzione pubblica e il futuro delle nuove generazioni.