Un articolo su Il Giornale lamenta che il Pdl abbia lasciato alla sinistra l’egemonia della cultura, considerato che nel nuovo governo il dicastero del Miur sia andato a Maria Chiara Carrozza, del Pd, mentre i dei tre sottosegretari solo uno è della destra, nella persona di Gabriele Toccafondi, dirigente di cooperativa ed ex deputato del Pdl.
A questa riflessione fa immediatamente eco una nota dell’on. Elena Cetemero, responsabile scuola del Pdl, per la quale il Popolo della libertà non sarebbe riuscito “ad assolvere come avrebbe dovuto e potuto fare, un compito importante, cioè quello di farsi interprete di un modo di concepire la scuola e la cultura improntate alla libertà di scelta, alla sussidiarietà, al mercato, alla qualità”. Una lagnanza che potrebbe essere legittima se si scorda che negli ultimi dieci anni, ben otto sono stati egemonizzati al Miur proprio dal Pdl nelle persone dei ministri: Letizia Moratti e Maria Stella Gelmini e solo due dal Pd, con Giuseppe Fioroni.
E sono stati otto anni contrassegnati solo da tagli, da licenziamenti, da classi pollaio, mentre le cosiddette riforme hanno avuto il solo obiettivo di umiliare insegnamenti, classi di concorso, docenti, mentre il punto più basso subito dal merito si ebbe allorché Moratti volle agli esami di stato che la commissione esaminatrice coincidesse col consiglio di classe e un solo presidente esterno per una intera scuola, insieme al mancato recupero dei debiti accumulati dagli alunni nel corso degli anni. Ma non solo. Le grandi strategie di Gelmini hanno avuto come risultato, relativamente alla valutazione e al merito, quello di implementare qualche sperimentazione per valutare docenti, per un verso, e scuole, per l’altro, a cui quasi tutti gli istituti scelti opposero un secco rifiuto e dei cui esiti, delle scuole che vi aderirono per amore di pace, ancora oggi nulla è dato sapere. Sia il Giornale dunque e sia l’on. Centemero dimenticano anche le accuse di fannullonismo, ignoranza, neghittosità, di “inculcatori di idee della sinistra” che durante i governi di centrodestra presero i docenti da parte di loro esponenti illustri, Berlusconi compreso, insieme al blocco del contratto di lavoro, gli aumenti salariali, gli scatti settennali, agli accorpamenti e ai dimensionamenti, mentre il ministro del tesoro, Giulio Tremonti, sibilava che “la cultura non dà da mangiare” e che la scuola non era “l’ufficio di collocamento” per gli oltre 150mila precari chiamati a tenere in vita l’istruzione italiana ma sbattuti a casa quando non c’era più bisogno di loro.
Un lamento quindi peloso, considerati gli anni di gestione del centro destra della scuola e considerate pure le scelte fatte, comprese quelle di consentire alle scuole la chiamata diretta dei docenti messa in campo dalla Regione Lombardia ma che la Consulta ha dichiarato “incostituzionale”. Non si tratta dunque di regalare la cultura alla sinistra o a un partito politico, si tratta di vedere cosa si intende fare della scuola e dell’istruzione, se si intende seguire il dettato costituzionale o stravolgerlo, implementando, così come ha chiesto la stessa on Centemero, la cosiddetta libertà di educazione che in altri termini significa umiliare la libertà di insegnamento, creare scuole con ognuna una propria caratteristica culturale e ideologica, visto che una libertà di educazione “atea” può configgere con una libertà di educazione “confessionale” e col rischio anche di creare scuole ghetto, per poveri e immigrati, e scuole di elite, per possidenti.
“Tocca proprio al Popolo della libertà riequilibrare le forze in campo e sdoganare nelle stanze della burocrazia ministeriale termini come «merito», «competizione», «mercato», «sussidiarietà», dice ancora Il Giornale, ma non se ne capisce il significato se ricordiamo la corsa dei neutrini sotto il tunnel alla conquista del merito appollaiato nei concorsi calabresi.
La riflessione più ovvia che ci viene, leggendo quanto scrive il quotidiano, è quella di una assillante volontà a smantellare la scuola pubblica, a deprivarla delle sue ricchezze e delle sue possibili glorie future, senza tenere conto che se si riuscisse finalmente a ragionare non già per ideologie, né per partito, né per interesse economico ma solo per il bene di questa nazione, forse almeno sul versante della istruzione si potrebbe riuscire a trovare una unità condivisa e stabile sui banchi del sapere, della educazione, della cittadinanza.
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