Gli studiosi di robotica stanno facendo grandi passi avanti nello studio del pensiero applicato a macchine artificiali.
Prossimamente sarà possibile, infatti, muovere con il pensiero un braccio di un robot. Questo è dunque l’orizzonte prossimo delle protesi neurali, cioè arti artificiali costruiti per la vita delle persone paraplegiche o tetraplegiche.
I primi tentativi di analisi in questo campo sono partiti in realtà oltre dieci anni fa negli Stati Uniti, utilizzando l’attività della corteccia motoria primaria, l’ultima stazione corticale che controlla i nostri muscoli volontari.
La grande novità che ha fatto evolvere definitivamente la ricerca è stata introdotta da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, guidati dalla docente Patrizia Fattori che è riuscita a cambiare l’obiettivo dello studio focalizzandolo l’attenzione sulla corteccia parietale posteriore, riuscendo in questo modo a decodificare l’attività neurale che anima una mano nell’atto di afferrare oggetti diversi.
La regione corticale – dice Patrizia Fattori – non è una regione strettamente motoria, ma è fortemente coinvolta nell’esecuzione del movimento di avvicinamento e di presa degli oggetti. I risultati dello studio dimostrano che l’attività usata per la decodifica neurale indica con chiarezza quale configurazione della mano verrà usata quando si afferra un oggetto con una specifica forma”
In sostanza, scrive l’Ansa, studiando cosa avviene quando si afferra un oggetto, si è scoperto che il cervello dà vita ad una serie di operazioni quali l’identificare e localizzare l’oggetto, programmare l’azione giusta da compiere, e infine dare inizio al movimento dell’arto. Processi che vengono compiuti senza sforzo da individui normodotati, ma che non vengono attivati correttamente ad esempio negli individui con lesioni spinali.
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Durante la visione dell’oggetto da prendere – spiegano i ricercatori di Unibo -, i neuroni usano un codice visivo, che analizza le caratteristiche dell’oggetto, la sua forma e il suo orientamento nello spazio. Successivamente, i neuroni utilizzano invece un codice motorio per poter correttamente configurare le dita e la mano in modo da riuscire a prendere l’oggetto”.
Da qui la necessità di sviluppare interfacce cervello-macchina in grado di utilizzare l’attività neurale per azionare una protesi, ad esempio un braccio robotico, bypassando traumi come la lesione del midollo spinale.
La scoperta del gruppo di ricerca Unibo rappresenta un tassello fondamentale verso l’obiettivo delle protesi neurali, un passaggio importante per la definitiva consacrazione della robotica sia nel campo della medicina, sia in altri campi come quello scolastico.
L’utilizzo dei robot nel campo della didattica a supporto dell’insegnante tradizionale può essere utilizzato dalle scuole primarie fino all’università, nell’insegnamento di materie scientifiche e dell’informatica o supportare ed aiutare i bambini con difficoltà di apprendimento.
Un interessante esperimento effettuato nel reparto di Pediatria del Policlinico Sant’Orsola di Bologna ha visto una sessantina di bambini giocare con un robot che li ha aiutati con una serie di esercizi a liberarsi di timori ed esternare le proprie emozioni, un vero e proprio partner della terapia del bambino.
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