Il piano scuola di Renzi: una vocazione Iso 9000? Rivelatore, il doppio registro lessicale che caratterizza i primi due capitoli della “buona scuola” di Renzi, e che palesa un’identità schizofrenica. Nel primo, dal titolo: “Assumere tutti i docenti di cui la buona scuola ha bisogno”, spira odore d’incenso, un paternalismo ottocentesco (forse, “orrocentesco”), per l’uso ripetuto di una parola come “vocazione”.
Pag.16: “Ci sono qualche migliaio di altri docenti che aspettano solo di essere chiamati, per trasformare così la loro vocazione in realtà.” Interessante l’incontro tra “i docenti che aspettano”: (una voce? una chiamata?) e la “vocazione”: si respira un’aria, purissima, da campi elisi. Anche se affollato come una metro in orario di punta. Posto su uno scenario mitico-religioso il “trasformatore” sarebbe, non il Miur/Mef, ma un dio in persona. Ma certamente meno assoluto del Mef. “Quindi, da un lato, i TFA ,destinati a coloro che, freschi di laurea ma ancora senza esperienza, volevano portare avanti la loro vocazione per l’insegnamento”. (pag.40). Qui la “vocazione” ha, per così dire, una tempra da atleta.
Ma senza avere la stessa corsa. Sembra che “portare avanti una vocazione” rimandi a un sforzo imperlato di sudore mistico. Da sottolineare che, indirettamente, l’ “esperienza” è impreziosita dall’avverbio “ancora”.
A pag 41, l’uso del termine si consolida, in quanto compare perfino la “vocazione tardiva”. Cioè: non è mai troppo tardi per espiare, purificarsi e redimersi. A ogni modo, tralasciando ogni dimensione spirituale, rimane che tale termine, distribuito nelle prime 40 pagine del documento governativo, rimandi a un’attitudine, ad un’inclinazione innata verso una disciplina, una professione.
Ci siamo: è per questo che è usata solo nel primo capitolo. Perché: “servirà maggiore mobilità per i nuovi assunti, oltre che disponibilità e flessibilità.” (pag. 27). Insomma, un “martirio”, ma adattato alla “modernità”, così lodata dalle caste. Naturalmente, e collegato a “vocazione”, quello dell’insegnante “ è il mestiere più nobile e bello” ; e l’“istruzione è la missione più alta che esista” (pag.6). Alta, come una cattedrale. Nel deserto. Commovente, a pag 30: “Il concorso selezionerà i migliori candidati, quelli più preparati, ma anche con maggiore predisposizione e capacità a trasmettere le proprie conoscenze. Tradotto: i più bravi a insegnare”. E’ scritto proprio così: “trasmettere le proprie conoscenze”.
Anni, decenni di ricerca pedagogica evaporati nelle cucine della “nuova scuola”. E dire che a pag. 7 sono citati Don Milani, Montessori, Malaguzzi. Forse, gli estensori del documento li hanno letti solo su twitter. In breve: il passaggio citato prefigura un/un’insegnate catechista. Ci ri-siamo: puntuale, scocca una trasparente coerenza con la… “vocazione”! Infine, contraddittorio, un passaggio a pag. 22: “Verrà eliminato in questo modo il precariato di persone qualificate e con esperienza di insegnamento.”
Ma l’esperienza non si acquisisce con gli anni? E il trascorrere degli anni, giocoforza, non “agevola” l’anzianità? Che è un destino. Naturale. Non certo come il “merito” e “la valutazione”, ideologizzati, risemantizzati per esigenze di risparmio e di controllo. Ben altro, lo scenario lessicale nel secondo capitolo : “Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella nuova scuola”.
La parola “vocazione” si dissolve. La missione è compiuta. La testimonianza, data. Entra in scena la “professionalità”, il “dinamismo”,la “qualità del docente”, il “portfolio”. Un linguaggio farcito di tecnicismi, anche derivati dalla terminologia finanziaria e aziendale.
E subito, a pag. 45, si intravede una rotta di collisione tra l’insegnante “professionista” che “insegna modi di pensare, metodi di lavoro e abilità per la vita e per lo sviluppo” e l’insegnante “catechista”, quello di pag.30 con la “vocazione”, quello che riempie la testa del discente con tutto il sapere di cui è capace… Alunni, studenti : in-vasati. Ancora: curioso che non sia citata la Costituzione della Repubblica.
In compenso, si esibisce il “Rethinking Education” 2012, della Commissione UE che esplicitamente richiede: “a livello internazionale i sistemi educativi devono essere fondati su una visione condivisa di qualità del docente” (pag. 45); e anche, “per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale e garantire uno sviluppo uniforme della professione di docente”. (ma a pag. 48, in riferimento alla progressione di carriera : “bisogna liberarsi dalla standardizzazione” che ha generato “competizione al ribasso e frustrazione di riflesso”; e a pag. 46 “Il livello di standardizzazone del pacchetto formativo determina la sua inefficacia”).
Insomma: solo quando la “uniformità”, la “standardizzazione” si esaurisce nel dettato/disposizione di una commissione UE, protesi a-democratica di una finzione chiamata e/u/r/o/p/a/u/n/i/t/a/, si riveste di una connotazione positiva, prontamente inglobata dai globalizzati governi nazionali. E forse, tale livellamento potrebbe essere funzionale a esiliare una categoria pericolosa: il pensiero divergente. Cioè, quello non conforme al dogma che impartisce disciplinari adeguati a “fare i còmpiti”. (vedi: Draghi, Monti, Saccomanni, Padoan, Juncker, Katainen, Rehn…come si nota, questi “eletti” non sono stati eletti).
La sintesi, furbesca, tra De Amicis e Marchionne, tra la “missione” dell’insegnante e la certificazione di qualità per le attese del “mercato” pare in questo modo compiuta. A quando un codice a barre Iso 9000, sui polsi o sulle nuche, per certificare la qualità del bidello, dell’alunno, del preside,dell’insegnante?
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