Era il 31 luglio del 1944, esattamente ottant’anni fa, quando si inabissò nel mar Mediterraneo un aereo ricognitore francese – un Lockheed P-38 Lightning di produzione statunitense – in volo dalla Corsica a Lione. Le circostanze dell’incidente non furono mai chiarite e l’aereo venne ritrovato in fondo al mare, a sud di Marsiglia, soltanto sessant’anni dopo, nel 2004. Del pilota, nessuna traccia e questo alimentò la sua fama e il mistero intorno alla sua scomparsa. Sì, perché a pilotare quell’aereo era Antoine de Saint-Exupéry, scrittore francese universalmente noto per avere scritto Il Piccolo Principe, che con i suoi 200 e passa milioni di copie vendute e le sue 400 traduzioni è l’opera letteraria francese più conosciuta e più letta sul pianeta Terra. Diciamo così perché è proprio sul pianeta Terra che si perde il Piccolo Principe a causa di un guasto alla sua astronave. Un successo mondiale, una favola allegorica pubblicata per la prima volta a New-York nel 1943 che ha attraversato le generazioni, arrivando fino a noi in perfetta salute e pronta a oltrepassarci per raggiungere i nostri figli e nipoti.
Stiamo parlando, allora, di un Classico della letteratura? Sicuramente sì, se prendiamo per buone due delle definizioni di Classico che Italo Calvino proponeva nel suo saggio “Perché leggere i classici”: I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. O anche un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Entrambe le ipotesi di definizione si adattano perfettamente al nostro Piccolo Principe, un ometto senza età che arriva sulla Terra come per magia. Partito da casa sua – l’asteroide B 612 – in cui viveva in compagnia di tre vulcani e una piccola rosa vanitosa, durante il suo viaggio il piccolo principe conoscerà pianeti diversi e adulti molto strani, dal vecchio re senza sudditi al geografo che non sa com’è fatto il suo mondo, e poi, giunto sulla Terra nel deserto del Sahara, un pilota anche lui bloccato lì a causa di un incidente aereo, il narratore della storia.
Centrale il racconto dell’incontro con la volpe, che insegnerà al Piccolo Principe il senso dell’amicizia, della cura, dell’amore. Gli insegnerà, ad esempio, che tutte le bellissime rose di un roseto appena visto non sono niente rispetto alla sua unica rosa che ha lasciato sull’asteroide, perché è lei che il Piccolo Principe ha innaffiato, ha curato, ha protetto dal vento, perché è soltanto lei la sua rosa. ”Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. ”Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiato. Perché ho messo lei sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparato col paravento (…) Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche tacere qualche volta. Perché è la mia rosa”
Una favola sul significato dell’amicizia e sul senso autentico della felicità, il mondo visto con gli occhi innocenti di un bambino che non capisce la vanità, la frenesia, le azioni scriteriate degli uomini che di volta in volta incontra durante il suo viaggio.
Il Piccolo Principe è un classico perché alcuni dei suoi passaggi sono oramai da tempo entrati nella memoria collettiva: chi non ha mai letto o ripetuto – magari senza ricordarne l’autore – la frase che la volpe, nel libro, dice al piccolo principe, quella che riassume e sintetizza il senso della storia: “é molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Un piccolo libro che ha sempre qualcosa da dirci e che dovrebbe trovare più spazio nelle antologie scolastiche e nelle programmazioni di letteratura.