La notizia buona è che arrivano tanti soldi per la Scuola, come ha fatto sapere il Ministro Bianchi. Quella cattiva è che non serviranno ad incrementare gli ormai magrissimi stipendi del personale, docente e non: lo hanno già dimostrato le direttive sul rinnovo dei contratti pubblici contenute nella proposta di legge di bilancio, in base alle quali si può prevedere un “aumento” del salario — come sempre — più nominale che reale.
Una riforma di fatto (senza riflessione parlamentare)
E allora come verranno investiti i miliardi annunciati? Se spesi come già indicato nel “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, questi denari genereranno una riforma de facto della Scuola, saltando a pie’ pari la discussione della riforma stessa in Parlamento. Discussione che avrebbe la funzione non solo di garantirne la validità giuridica, ma anche (e soprattutto) di definirne il quadro valoriale di riferimento: di stabilire, cioè, su quali basi ideali fondare la riforma, a quale tipo di Scuola e di modello educativo finalizzarla, e quale società futura costruire.
Nulla di tutto ciò. La riforma avverrà perché altrimenti l’Europa non ci presta i miliardi; essa dovrà rispecchiare il modello deciso dall’Europa; che è poi quello del neoliberismo globale, ispirato all’ideologia “pratica” del mercato, dell’industria ipertecnologica, del grande capitale iperconnesso, senza inutili “distrazioni” culturali e filosofiche. Il che, in un’Italia ipnotizzata dal web, stressata da una crisi sempre più stringente, terrorizzata dalla minaccia della pandemia, appare incondizionatamente come un bene. Anzi, come il sommo Bene. In ogni tempo e in ogni luogo, proteggere le pecorelle dalla minaccia del lupo cattivo ha sempre permesso al pastore di tenere unito e mansueto il gregge.
Sparisce la classe, il docente si liquefà
Come sarà articolata la riforma dettata dai prestiti dell’Unione Europea? Pagina 186 del PNRR: «trasformazione degli spazi scolastici affinché diventino connected learning environments adattabili, flessibili e digitali, con laboratori tecnologicamente avanzati e un processo di apprendimento orientato al lavoro». Ecco perché “non ci sono soldi” per gli aumenti salariali: inutile investire sui docenti, la cui sorte è sostanzialmente segnata, visto che la loro professionalità è destinata a volatilizzarsi, svaporando in un destino da “valutatori”, nonché “somministratori” di contenuti elaborati da altri: contenuti che i docenti stessi dovranno semplicemente erogare. Ora si comprende meglio il perché della trentennale propaganda contro la lezione “frontale”.
Centri per imparare ad insegnare (computando in inglese)
Il processo verrà perfezionato dalla «Creazione di 3 Teaching and Learning Centres (TLC) per migliorare le competenze di insegnamento (comprese le competenze digitali) dei docenti nelle università e degli insegnanti nelle scuole, in tutte le discipline, comprese le discipline tradizionalmente meno orientate al digitale». Anche il reclutamento dei docenti, dunque, è oggetto di un disegno di totale trasformazione, non ancora esplicitato nei dettagli, ma certo finalizzato a un quadro molto diverso dall’attuale e comprendente anche una radicale trasformazione delle discipline insegnate.
E infatti a pagina 183 si specifica che nelle Università saranno creati «ordinamenti didattici che rafforzino le competenze multidisciplinari, sulle tecnologie digitali (…) oltre alla costruzione di soft skills. La riforma inoltre amplierà le classi di laurea professionalizzanti, facilitando l’accesso all’istruzione universitaria per gli studenti provenienti dagli studenti [sic] dei percorsi degli ITS» (Istituti Tecnici Superiori).
D’altronde fin da pagina 18 si ribadisce che «Il governo intende rafforzare l’istruzione professionale, in particolare il sistema di formazione professionale terziaria (ITS) e l’istruzione STEM» (“Science, Technology, Engineering and Mathematics”).
Liceo breve: l’eterno ritorno
Pagina 182 del PNRR: «Verrà ampliata la sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali, che attualmente vede coinvolte 100 classi in altrettante scuole su territorio nazionale e che si intende portare a 1000». Si prosegue dunque sulla strada del “Liceo breve”, “smart”, mirato al lavoro (tecnico ed esecutivo), con contenuti culturali minimali, e che permette sostanziali “risparmi”. L’uso del termine “sperimentazione” permette ancora una volta al cavallo di Troia di entrare indisturbato nelle mura.
Scuola o centro di addestramento al lavoro (esecutivo e flessibile)?
La Scuola, insomma, verrà nel suo insieme piegata alle necessità delle aziende di trovare lavoratori subordinati flessibili, capaci di adeguarsi prontamente a qualsiasi mutamento della filiera produttiva. Con quale impatto sulla qualità della vita? Ridotta a questo ruolo di allevatrice di perfetti ingranaggi della macchina produttiva, la Scuola avrà ancora il ruolo emancipante che la Costituzione democratica ed antifascista — tuttora in vigore — le assegna? Un ruolo che — malgrado la demolizione controllata degli ultimi trent’anni — la Scuola italiana tuttora svolge egregiamente, grazie ai contenuti culturali, alle conoscenze e alla visione educativa e pedagogica che i suoi docenti ancora posseggono e trasmettono. Una tradizione storico-culturale di tremila anni non si smantella in un batter d’occhio. Per quanto tempo ancora sarà permesso alla Scuola italiana di esistere in quanto tale? E quali saranno le conseguenze del suo disarmo per la civiltà umana?