Ogni giovedì un appuntamento con la rubrica “Sulle spalle dei giganti”, i grandi della scienza raccontati sotto un punto di vista storico.
Abbiamo già raccontato le particolarità di Newton, personaggio lontano da quello stereotipo di scienziato metodico e razionale che ne ha falsato il ricordo per molto tempo. Qualcuno però potrebbe pensare che l’esempio di Newton sia legato a un passato molto distante, al Seicento, a un secolo in segnato dalla caccia alle streghe, dalle superstizioni e dall’alchimia.
Non è così: anche oggi molti scienziati non corrispondono, nel bene e nel male, alle nostre aspettative: e non parliamo di personaggi a margine della comunità scientifica, ma anche di premi Nobel! È il caso del celebre ed eccentrico Kary Mullis (1944-2019), premio Nobel per la chimica nel 1993 per aver contribuito con le sue scoperte allo sviluppo della PCR, largamente utilizzata oggi per l’analisi del patrimonio genetico non soltanto negli ospedali, ma anche nei tribunali e in complessi campi di indagine come ad esempio la paleontologia.
Mullis fu biochimico a dir poco controverso: se da un lato infatti ottenne successi importanti, dall’altro non nascose mai l’uso di stupefacenti, come l’LSD, affermando più o meno esplicitamente che proprio le esperienze lisergiche lo avevano condotto alle sue più importanti scoperte; raccontò in più occasioni di essere stato rapito dagli alieni, negò fermamente qualunque legame tra il virus dell’HIV e l’AIDS, ridicolizzando quelle ricerche che al contrario negli anni hanno dimostrato la loro validità.
Leggendo la sua autobiografia – “Viaggiando nudi nel campo della mente”, titolo che si addice perfettamente al contenuto del libro – ci troviamo di fronte a un personaggio scomodo: a tratti sicuramente geniale, libero dai preconcetti, creativo ed eclettico, ma al contempo tralignato, bizzoso e sconclusionato. Come dobbiamo comportarci con uno scienziato del genere? Cosa ci insegna la sua storia?
La vita di Mullis ci ricorda come la scienza non abbia bisogno di idoli, di miti che inevitabilmente falsano l’esperienza e il reale. Rende evidente come sia il lavoro della comunità, nel tempo, a vagliare le ipotesi dei singoli o dei gruppi di ricerca; ci dimostra come l’ultima parola spetti sempre agli esperimenti.
Gli esseri umani sbagliano, sono imperfetti, schiavi dei propri difetti, delle proprie debolezze. È inutile idealizzare i protagonisti di questa come di altre discipline, cercando di accettarli in ogni loro aspetto: a Mullis dobbiamo scoperte importanti, una sincera passione per la conoscenza e la chimica, l’aver sfatato a volte con eleganza e sagacia il mito dello scienziato integerrimo, misurato e razionale come unico modello da seguire e perseguire; in tante altre occasioni ha sbagliato e non poco. A proteggerci dai suoi errori ci ha pensato la comunità, il confronto con gli altri, la cooperazione e il lavoro di verifica che sono i veri pilastri che non dobbiamo mai abbandonare in questo mirabile percorso culturale.
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