Il premier Matteo Renzi, interpellato su tale evenienza ha risposto: “Napolitano è una garanzia per tutto il Paese”, mentre il presidente del Senato, Giovanni Grasso, ha detto: “Sono certo che il presidente della Repubblica darà e continuerà a dare il massimo per essere utile al nostro Paese in qualsiasi modo e con qualsiasi funzione”. Parole che farebbero pensare, sostengono gli osservatori, ad una effettiva volontà del presidente Napolitano, di lasciare il Quirinale e al più presto.
D’altra parte Giorgio Napolitano diede la linea con chiarezza già nell’aprile 2013 nel suo durissimo discorso d’insediamento: “Resterò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno”, chiarì alle Camere riunite dopo la clamorosa deblacle delle fumate nere che bruciarono prima Marini e poi Prodi.
Si tratterà per certo, sottolinea Ansa, di un’uscita morbida: Napolitano da tempo ragiona sul suo ruolo, sulle sue forze e sulle tante scadenze che attendono il Parlamento nei prossimi mesi. Perché, al di là di considerazioni che sono e rimangono personalissime, le dimissioni di un presidente della Repubblica non sono un accadimento da prendere a cuor leggero, senza un’attenta analisi dei pro e dei contro e senza una minuziosa valutazione del periodo in cui queste dimissioni possano aver il minor impatto possibile sulla laboriosità delle Camere e la tenuta dell’esecutivo.
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Napolitano infatti non intende in alcun caso diventare – suo malgrado e neanche indirettamente – né un ostacolo né tantomeno un freno per la già farraginosa macchina parlamentare.
Impensabile quindi – salvo ragioni eccezionali che al momento non sono all’ordine del giorno – che il presidente possa dimettersi all’improvviso attraverso una stringata nota trasmessa dalle agenzie.
Occorrerà, sostiene l’agenzia Ansa, una preparazione progressiva dell’evento, che bilanci la necessità del Quirinale di non apparire dimissionario prima del tempo (e quindi depotenziato nelle sue delicatissime prerogative costituzionali) e la sentita preoccupazione che la complessa procedura per l’elezione di un nuovo presidente possa configurarsi d’ostacolo alla primaria necessità del Parlamento di legiferare.
Senza contare i timori inespressi dal Colle ma registrati in tutti gli ambienti politici che senza un’adeguata e ragionata preparazione dell’uscita si possa riproporre l’incubo del 2013, quando un Parlamento annichilito polverizzava nomi illustri sull’altare del voto segreto e della sfida alla disciplina di partito.
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