I lettori ci scrivono

Il pressapochismo della politica scolastica nazionale

Le legislature e i governi si susseguono.
Tutti riconoscono l’aspetto dolente della scuola.
Tutti affermano la necessità di elaborare interventi mirati: bisogna sanare le carenze segnalate dalle rilevazioni nazionali e da quelle internazionali, si devono evitare gli abbandoni, è necessario favorire l’integrazione e combattere le disparità territoriali … e la tentazione di riformarla è molto, molto forte.

Tentazione stimolata da un preconcetto: le scelte fatte dai predecessori sono inefficaci, da qui discende la necessità di rielaborarne le strategie. Eppure il buon padre di famiglia, prima di cassare le scelte compiute, analizza la loro applicazione al fine di rimuovere eventuali errori realizzativi e di individuare i miglioramenti necessari.

I decreti delegati del 1974 siano d’esempio: hanno radicalmente modificato la struttura organizzativa delle scuole. Gli avanzamenti culturali e scientifici sono il loro architrave: la cultura sistemica è il loro leitmotiv; il modello gerarchico-lineare, che accentrava nella dirigenza tutte le attribuzioni didattiche e amministrative, è abbandonato; le responsabilità decisionali sono distribuite tra i diversi organi di governo.

Nel 2008, visto il fallimento del cambiamento atteso, è iniziato il percorso di rimodellazione della scuola, cammino che la legge 107/2015 ha compendiato.  Nella presentazione del disegno di legge 953/08 è stato affermato ”I poteri riconosciuti agli organi collegiali sono stati di fatto esautorati dall’eccessivo formalismo centralistico e dalla limitatezza delle risorse, e ciò ha determinato una continua deresponsabilizzazione della componente dei genitori e l’affievolirsi della loro partecipazione”.

Una diagnosi fantasiosa, senza fondamento oggettivo: non ha senso invocare il centralismo formalistico per giustificare la mancata convocazione dell’organismo strategico delle scuole su questioni vitali, proprio quelle che contengono i germi della partecipazione. Questa è l’origine della deresponsabilizzazione: la presidenza del Consiglio di Circolo/di Istituto, organismo di vertice, responsabile del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, appartiene a un genitore. Anche la limitatezza delle risorse è una falsità: la ristrutturazione organizzativa è a costo zero.

L’itinerario restauratore è proseguito, senza interruzioni, nelle commissioni cultura di Camera e Senato per sfociare, nel 2015, nel testo della cosiddetta buona scuola. Una legge che, oltre a calpestare i dettami delle scienze dell’organizzazione, contiene un colossale errore, la cui gravità trascende l’ambito scolastico.

Ecco perché.
Il suo titolo si rapporta al concetto “sistema”e il paragrafo 7 ne specifica il relativo orientamento: sono elencati gli “obiettivi formativi ritenuti prioritari”.  Questi corrispondono al comportamento che gli studenti devono dimostrare al termine dei percorsi scolastici: la governabilità della scuola dipende dalla loro precisa enunciazione. Un vincolo che è stato disatteso: agli obiettivi formativi sono state mescolate le responsabilità dell’istituzione. Si tratta di un indiscutibile sintomo dell’assenza di cultura progettuale, che è la “sostanza” dell’autonomia delle scuole.

Enrico Maranzana

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