Secondo il professor Roberto Moscati, docente dell’università Bicocca di Milano, pesa anche la didattica, rimasta ferma a 40 anni fa.
“Di fronte all’aumento di studenti, gli altri Stati hanno risposto con un adeguamento dei programmi, noi abbiamo semplicemente permesso più iscrizioni. Il modello di successo è stato quello anglosassone, incentrato sull’autonomia delle Università, fortemente competitivo e collegato al mercato del lavoro. In Italia però, quando negli anni 80 si è provato ad introdurre l’autonomia, il risultato è stato una moltiplicazione di cattedre e corsi di studio, apparentemente rivolte agli studenti ma funzionali solo alle carriere dei docenti”.
Dalla didattica alla governance, le differenze tra l’Università italiana e i sistemi europei possono essere fra le cause del divario tra il tasso di occupazione nel nostro Paese rispetto alla media dell’Unione.
Secondo la dottoressa Marzia Foroni, consulente del ministero dell’istruzione: “Nel 2012 (ultimo dato disponibile) i laureati italiani hanno visto una riduzione delle opportunità di lavoro del 3%, mentre in Europa si è registrata una diminuzione dell’1,9%”