Sul tema della laicità della scuola e del rapporto con le religioni, abbiamo intervistato Antonella Mongiardo, dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Manzoni-Augruso di Lamezia Terme.
Preside, lei di recente ha approfondito il tema della laicità della scuola e un suo ampio documento è all’esame degli organi collegiali, per essere inserito nel PTOF della sua scuola.
Qual è il suo punto di partenza?
Il laicismo si identifica con una concezione della cultura e della vita civile basata sulla tolleranza comprensiva delle credenze altrui, sul rifiuto del dogmatismo in ogni settore della vita associata, anche al di là dell’influenza diretta dell’istituzione religiosa dominante.
Ma bisogna fare chiarezza: nella scuola la laicità non può coincidere con “assenza di religione”.
Si spieghi meglio
Su questo punto condivido le acute osservazioni del matematico Piero Del Bene, quando sostiene che, se laicità significasse assenza di religione, allora nella scuola laica non dovrebbero trovare posto il cattolicesimo di Manzoni e di numerosi altri autori della letteratura italiana, non si dovrebbe studiare la divina commedia di Dante e non si dovrebbero visitare chiese, né ammirare le rappresentazioni sacre attraverso i libri di storia dell’arte o durante le gite scolastiche.
Al contrario, le discipline umanistiche traboccano di cultura cattolica; l’arte, la filosofia, la musica, sono ambiti in cui il cattolicesimo ha lasciato la sua impronta indelebile. La cultura religiosa, insomma, fa parte, a pieno titolo, della formazione scolastica.
Quindi è giusto che nelle nostre scuole si insegni la religione cattolica?
L’insegnamento della Religione cattolica è una disciplina istituzionale ed è un insegnamento che, pur nell’avvicendarsi di governi e diverse forme di Stato, non è mai venuto meno. Dall’Unità d’Italia ad oggi, questa particolare disciplina è sempre stata parte integrante del progetto educativo dell’istruzione nazionale.
E’ evidente, peraltro, il senso della sua presenza nella scuola. Eliminare la religione cattolica significherebbe svuotare la nostra cultura, dal momento che il patrimonio culturale e artistico del nostro Paese custodisce tesori inestimabili in gran parte a tema cattolico-cristiano; e significherebbe snaturare la nostra stessa identità storica, che si è forgiata, nel corso dei secoli, a stretto contatto con la dottrina cattolica.
Ma quale sarebbe a suo parere la valenza educativa dell’insegnamento religioso?
E’ presto detto: i principi ispiratori della religione cattolica, improntati al rispetto del prossimo, alla solidarietà e alla pace, rappresentano un faro nell’azione educativa della scuola, la quale, andando oltre i traguardi cognitivi connessi all’acquisizione di saperi disciplinari, tende alla formazione globale dello studente, alla sua crescita personale e sociale.
Però un conto è la cultura religiosa e altro conto è l’insegnamento della religione cattolica
Certo, ma non possiamo dimenticare che gli articoli 8 e 19 della Costituzione tutelano esplicitamente la libertà di fede e l’IRC è presente nella scuola italiana in virtù dell’art. 7 della Costituzione, sorto dall’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, proprio per garantire, in regime di pluralismo religioso, l’insegnamento della cultura religiosa nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
E, come è noto, con l’Accordo del 1984 viene aggiunto che l’accesso all’Irc avviene sulla base di una libera scelta, che ognuno è chiamato ad operare.
D’altronde già nella sentenza della Corte Costituzionale 203/1989 veniva stabilito che “lo Stato è obbligato, in forza dell’Accordo con la Santa Sede, ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo. Per quanti decidano di non avvalersene, l’alternativa è uno stato di non-obbligo”. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza, che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione”.
E, a proposito della non obbligatorietà di seguire corsi alternativi all’insegnamento della religione cattolica, viene puntualizzato nella sentenza della Corte costituzionale n°13/1991: “Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo “stato di non-obbligo” può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola”.
C’è però il tema degli atti di culto nella scuola. Come si risolve questo problema?
La risposta arriva dal Consiglio di Stato, che, con sentenza n.1388 del 27 marzo 2017, riconosce la possibilità delle benedizioni religiose a scuola in orario extrascolastico. Nel contempo, però, il CdS pone dei limiti ben precisi all’attività di culto nella scuola, conciliando il principio di laicità della scuola con la libertà di partecipazione ad iniziative culturali o di espressione religiosa e garantendo l’autorevolezza dell’esercizio dell’autonomia scolastica.
La vicenda aveva avuto origine dal fatto che una scuola di Bologna aveva concesso a tre parroci i locali scolastici per le benedizioni pasquali in orario extrascolastico.
In prima istanza il TAR aveva censurato la decisione della scuola ma successivamente il Consiglio di Stato aveva statuito che “tale rito – avvenuto a scuola ma in orario non scolastico – va accolto al pari di un’attività parascolastica e che la natura religiosa dell’evento non può ritenersi un elemento discriminatorio”.
Nelle aule di giustizia è stata affrontata anche la questione dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo, non crea divisioni o contrapposizioni ma è espressione di un sentire comune e simbolo di una tradizione culturale millenaria.
La sentenza n°556 del 2006 del Consiglio di Stato chiarisce il significato del crocifisso nelle scuole come un simbolo che può assumere differenti interpretazioni e scopi a seconda del contesto in cui è posto. In un contesto religioso, come una chiesa, è considerato un simbolo religioso. In ambienti laici come le scuole, il crocifisso può ancora conservare significati religiosi per i credenti, ma la sua esposizione deve essere giustificata come non discriminatoria e in grado di richiamare valori civilmente rilevanti, fondamentali per il convivere civile. Il crocifisso, pur mantenendo il suo significato religioso, può svolgere una funzione simbolica educativa, rappresentando valori come tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei diritti, libertà, autonomia della coscienza morale, solidarietà umana e rifiuto della discriminazione, che caratterizzano la civiltà italiana. Tali valori sono radicati nella Costituzione italiana e riflettono la laicità dello Stato.
Gli organi collegiali della scuola che lei dirige condivido queste sue considerazioni?
Direi proprio di sì, tanto che pensiamo di affrontare nelle prossime sedute collegiali proprio la questione della corretta interpretazione del principio di laicità della scuola. Una laicità che non si adagia nell’indifferenza verso i valori religiosi, ma che, al contrario, rafforza la funzione educativa della scuola, rivolta anche al rispetto delle scelte e all’integrazione di differenti culture.
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