Erich Fromm nel suo “L’arte di amare” sostiene che i rapporti di coppia spesso degenerano perché si memorizzano più le cattiverie che le benignità; in politica invece si è capito che il qualunquismo favorisce i populisti di professione e non chi cerca la ragione e il rigore.
I fascismi a loro volta si imposero anche per la loro elementare demagogia per cui i nemici erano gli ebrei e i comunisti, mentre facile venne nel medioevo bruciare le streghe come causa delle grandi epidemie e di altri malanni.
Il più grave danno che si può fare alla nostra scuola è quello di rintuzzare i denigratori con i luoghi comuni e le argomentazioni raccattate un po’ dovunque. Per questo crediamo che l’idea principale, se si vuole che l’istruzione possa avere tutta la deferenza e il prestigio che merita, stia in un principio fondamentale: che il maestro si riappropri del suo ruolo storico nella società, cioè quello dell’intellettuale, del “Principe gramsciano” che sappia cogliere e interpretare i mutamenti e, se non ha strumenti per dirigere, che li spieghi agli allievi o dia loro gli strumenti per la loro comprensione.
Ciò che disarma, in un momento come quello che stiamo attraversando, è l’estremo spirito attendista degli insegnanti; è notare la loro penuria di proposte concrete che non siano i soliti interessi di maniera e la difesa a oltranza di posizioni oggettivamente esposte alla critica.
Nel secolo scorso i maestri avevano prestigio perché erano tra i pochi a sapere di lettere e qualcuno che comprava il giornale lo leggeva agli altri, magari in piazza. Oggi il maestro sembra un ignorante di ritorno: perché non si aggiorna, o si aggiorna quanto basta o non ne frequenta abbastanza, legge poco e perfino il giornale non compra; perché è convinto di pretendere privilegi che agli altri lavoratori non toccherebbero; non consce a fondo i diritti sindacali e la legislazione scolastica, mentre è esposto alla sapienza altrui e ai rimbrotti altrui senza reazioni di spessore scientifico o argomentazioni documentate.
Si è trovato una nicchia che gli consente una vita poco più che dignitosa, sa che incolpando i ragazzi di neghittosità protegge se stesso e con il dirigente è sottomesso come vorrebbe che i suoi alunni fossero con lui.
Si è smarrito dietro la cattedra e nei collegi più che portare proposte o dibattere sui grandi temi che il nostro tempo pone, guarda l’orologio per fuggire: si è appiattito sui comportamenti dei suoi allievi, gli viene più facile adeguarsi verso il basso invece di volare al di là.
Si dice che il maestro verrebbe lasciato solo: ma cosa fa per evitarlo? Si parla di bullismo e di educazione alla legalità, ma in quante scuole ci si attrezza, mettendo in mora la presidenza quando sbaglia, implementando la cultura che è l’unico vero antidodo alla rozzezza di questi tempi: la musica, la lettura, l’arte?
Si parla di riforma: non sarebbe opportuno che questi uomini e queste donne di cultura diano un contributo per erigere una scuola diversa e più adeguata alle nuove sfide? Come? Ci sono tante associazioni di categoria costrette a chiudere per mancanza di collaborazione (vedi la storica e nobilissima Fnism), mentre il sindacato vive solo per le consulenze, i ricorsi per i punteggi e le graduatorie e non si dica che le riunioni sindacali in orario scolastico siano frequentati da tutti coloro che si assentano dal servizio.
Il merito? Sicuramente molti prof si sono seccati di avere uno stipendio simile al collega che fa solo materie orali. E non perché sia più bravo ma più semplicemente perché, oltre a preparare i compiti e a vigilare come un poliziotto, gli elaborati si devono correggere e assorbono ore e ore di lavoro; inoltre spesso deve dare perfino spiegazioni alle famiglie quando il giudizio non piace.
Ma il merito deve scaturire pure dalle Università e dai concorsi e non solo da quelli per insegnare ma anche da quelli per dirigere le scuole avendo notato che tanti presidi riescono solo a bivaccare nella loro tana.