Sarà il giudice del lavoro Raffaele Lapenta a tenere l’udienza, il 16 marzo, per l’esame del ricorso di Stefano Rho, il prof licenziato per una falsa dichiarazione.
Esattamente tra un mese, quindi, finirà in Tribunale l’incredibile vicenda che ha avuto come protagonista il docente di filosofia, quarantenne, licenziato (come alcune altre decine tra insegnanti di ruolo e precari nella Bergamasca) per non aver dichiarato (all’atto della presa di servizio a scuola) di avere precedenti penali, legati a una causa chiusa undici anni fa, quando l’uomo era stato sorpreso dai carabinieri, in un paesino della Valle Brembana, a fare pipì (a notte fonda ma vicino a un lampione) in un cespuglio ai bordi di una strada deserta.
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Rho aveva pagato un’ammenda di 200 euro. E mise una “pietra” sopra l’accaduto. Ecco perché, non risultando dal casellario giudiziale e non essendo il precedente ostativo all’assunzione, non l’aveva dichiarato nel modulo fornito dalla scuola all’atto della presa di servizio.
La vicenda ha sollevato molta attenzione – perché è scattato un licenziamento per una “ragazzata” e soprattutto ha dimostrato che si può perdere il lavoro davvero per futili motivi –
e la solidarietà di colleghi e allievi per la sproporzione fra l’accaduto e le conseguenze professionali: in queste ultime ore, infatti, è emerso che il licenziamento attutato per motivi di questo genere – falsa attestazione e omissione di fatti di rilevanza penale, seppure lievi – vale per sempre e per tutta la scuola pubblica statale. A meno che il giudice del lavoro ribalti la decisione presa dall’Ufficio scolastico regionale.
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