Ho terminato di leggere per la seconda volta il documento sulla “Buona Scuola”. Risultato: ho provato tanta nausea, rabbia e un preoccupante avvilimento. Eppure, dovrei apprezzare la presenza di concetti pedagogici e contesti educativi che per tanto tempo hanno caratterizzato la mia attività professionale. Non è più così!!! E mi spiego.
Il nostro lavoro, ma il discorso potrebbe estendersi a qualsiasi attività lavorativa, è caratterizzato da due poli: la professionalità e il professionismo. Il primo è definito dalla triplice sequenza di conoscenza, capacità e competenza. Grazie a questo bagaglio, almeno la scuola dell’infanzia e primaria riescono ancora ad essere di qualità. Il secondo polo rimanda al principio dello scambio, diciamo quasi equo tra una prestazione e il compenso economico. In altri termini: “ do ut des”. Questo rapporto ha un fondamento psicologico: la motivazione estrinseca – nel caso del docente perseguire un fine “separato”, “distinto” dalla promozione della persona, che si esplica nella remunerazione economica .
Questa condizione è necessaria per il benessere psicologico, divenendo di conseguenza una “diga “ contro la frustrazione, l’insoddisfazione, la depressione professionale, che se contestualizzati nella relazione docente-studenti, assumono con notati assolutamente negativi per la formazione e promozione della persona . Bene, fatta questa premessa, il documento “ La Buona Scuola” è sbilanciato verso il polo della professionalità , poco verso quello del professionismo. In altre parole il messaggio che mi arriva è il seguente: “ Caro docente, lavora di più, ma sappi che in rapporto al maggiore impegno ti pagherò di meno!” .
Prevenuto? Non direi. Nel documento “La Buona Scuola” si evince che il nuovo profilo docente deve caratterizzarsi sul versante della didattica, della formazione e della professionalità, ognuno dei quali diventerà occasione di acquisizione di crediti.
Ora questi obiettivi saranno conseguiti , nella migliore delle ipotesi, solo attraverso lo studio, la ricerca, l’assunzione di incarichi l’ideazione e la realizzazione di progetti , che costringeranno i docenti a rimanere a scuola per almeno 3-4 ore in più al giorno. E questo per cosa? 60 euro Pochi? Vero! Bricioline? Sicuramente, se si considera la mancata integrazione con gli adeguamenti con trattuali, l’abolizione degli scatti e la sterilizzazione del Mof. In altri termini, il gioco non vale la candela!
Mi sono sentito rispondere a questa mia presa di posizione che la scuola deve contribuire al risanamento delle finanze pubbliche, dimenticando però di aggiungere che il sistema formativo dal 2008 – 2009 è, suo malgrado, in prima fila in questa operazione – gli 8 miliardi prelevati da Tremonti/Gelmini, di cui 2,4 non sono mai ritornati al sistema formativo.
Ora se l’Amministrazione pubblica non se la sente di investire nel futuro – la scuola funziona solo se ci sono insegnanti motivati – allora non si inventi una pseudoriforma scolastica, finalizzata solo a trovare le coperture economiche per l’assunzione dei precari . Confermi gli scatti settennali e il suo impegno a rinnovare il contratto nazionale ogni tre anni, adeguando gli stipendi al tasso di inflazione programmato.
Otterrà l’obiettivo minimo di avere insegnanti meno demotivati. Diversamente si impegni veramente sul merito, riconoscendo al docente un adeguato compenso economico per il suo impegno. Troverà nel sottoscritto, e non solo, un valido sostenitore, disponibile e soprattutto motivato ad impegnarsi quotidianamente per 3-4 ore in più a scuola , a fronte di un compenso che riconosca il suo “essere professionista” e non solo la sua professionalità con una pacca sulla spalla o frasi di rito.
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