Il punto di vista del neo-ministro dell’economia sulla scuola italiana

Da alcuni anni il peso del Ministero dell’economia nelle scelte di politica scolastica è progressivamente aumentato.
Per questo motivo, può essere utile conoscere un po’ il pensiero del neo-ministro Fabrizio Saccomanni in materia di istruzione.
Uno dei suoi interventi più organici sulla questione risale al giugno del 2010 quando parlò a Potenza in occasione della presentazione del rapporto “L’economia della Basilicata” curato dalla sede regionale di Bankitalia.
“Il potenziale di crescita di un’economia di trasformazione come quella italiana – affermava Saccomanni – dipende in ultima analisi dal capitale umano. L’istruzione accresce il capitale sociale, carente soprattutto nel Mezzogiorno, e riduce la probabilità di lavorare nei settori sommersi dell’economia, più ampi nel Mezzogiorno”.
Senza dimenticare il tema della cittadinanza (“Una buona educazione civica si associa con il rispetto della legalità, precondizione irrinunciabile per lo sviluppo economico e per il vivere civile”) e quello della scuola digitale (“La diffusione delle nuove tecnologie richiede un continuo apprendimento, non solo per far avanzare la frontiera della conoscenza, ma anche per avvantaggiarsi delle conoscenze prodotte da altri”).
Il futuro Ministro entrava poi un po’ più nel merito della questione e dichiarava: “Nel nostro paese l’obiettivo di un’istruzione di qualità non è stato raggiunto; i divari tra Nord e Sud restano elevati”.
I dati che forniti all’epoca da Saccomanni non sono molto diversi da quelli di oggi: “Appare inferiore nel Mezzogiorno la quota della popolazione in possesso di titoli di studio elevati (diploma e laurea). Guardando alla popolazione tra 25 e 64 anni di età, i diplomati erano nel 2009 pari al 33,7 per cento nel Mezzogiorno, contro il 42,4 per cento del Centro Nord; i laureati il 12,6 per cento, contro il 15,5 nel resto del paese”.
“Ma 
– sottolineava il futuro Ministro – l’aspetto più preoccupante attiene agli aspetti “qualitativi” dei divari. La scuola, soprattutto al Sud, piuttosto che ridurre sembra ampliare i divari tra studenti derivanti dal background familiare e dai fattori di contesto”.
E poi una osservazione che di recente è stata confermata anche dal Censis: “Le differenze di risultati tra le aree del paese non sono immediatamente riconducibili alla quantità di risorse spese annualmente. La spesa per istruzione è erogata dal governo centrale seguendo regole omogenee sul territorio nazionale; le risorse finanziarie correnti non sono inferiori al resto del paese. È invece peggiore nel Mezzogiorno la qualità delle dotazioni di infrastrutture scolastiche”.
Se gli atti saranno conseguenti all’analisi dovremmo aspettarci interventi significativi per tentare di ridurre il divario sud-nord. Una prima misura potrebbe riguardare proprio l’edilizia scolastica anche se non mancano i dubbi sulla effettiva possibilità di realizzare un piano di interventi a causa dei vincoli di spese previsti dal patto di stabilità.

Reginaldo Palermo

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