I lettori ci scrivono

Il quadro delineato dalla giurista Frezza? Molto verosimile

Spettabile Redazione,

quasi per caso, mi è capitato di incrociare l’intervento della Dottoressa Frezza, da voi opportunamente pubblicato sul sito, e non ho potuto esimermi dal soffermarmi a leggerlo con maggior attenzione, per convenire, tristemente, che quanto viene affermato corrisponde, in gran parte e purtroppo, al vero (se non del tutto).

E’ possibile che la Dottoressa abbia volutamente calcato la mano, con un intento provocatorio teso a far riflettere il mondo della scuola e tutta la società sui pericoli che sta correndo attualmente nel tentare lodevolmente eppur con risultati mediocri, di migliorare la formazione dei giovani.

Probabilmente l’intento della giurista è questo, ma certo il quadro delineato, è molto verosimile.

Sì, con un po’ di fiducia, possiamo anche ammettere che il nostro sistema educativo, tutto sommato, funzioni ancora, nonostante tutti i progetti, involontari vogliamo pensare, di farlo naufragare. E’ vero però, che da anni un continuo e ipertrofico proliferare di riforme, anche non del tutto giuste e corrette, spesso incoerenti e non sempre applicate o solo parzialmente (con effetti ancora peggiori), si sono accavallate e intrecciate generando un vortice di confusione e disorientamento che,  non ha giovato alla formazione dei giovani e dei cittadini del futuro.

Un’onda nera dalle lontane origini, un movimento sismico generato dall’ ”Alto” e difficile da frenare, impossibile da fermare, tende a distruggere le nostre tradizioni educative, pur sempre valide.

Si potrebbe parlare della solita sindrome di esterofilia (anche di un processo sovranazionale cui, qualunque Governo, si è dovuto adeguare e ha dovuto attuare) tendente a vedere come panacea di ogni male tutto ciò che proviene dagli altri Paesi e ritiene utile superare o artatamente cancellare i nostri modelli educativi (forse da svecchiare ma sicuramente validi) o almeno salvarli solo in parte (o simulare di salvarli), unendoli poi, operazione difficile dagli esiti spesso non prodigiosi, con la magnifiche novità d’oltreconfine.

In questo senso allora va assolutamente eliminata la lezione frontale, fonte di ogni male.

Chi pensa questo, però (purtroppo anche molti  che occupano legittimamente la ‘stanza dei bottoni’), non ha una chiara idea di una lezione frontale, della sua efficacia e delle sue possibilità di trasformarsi.

Anche se si trattasse solo di trasmettere nozioni ad un pubblico di studenti attenti e silenziosi, ciò sarebbe utile ed educativo se riuscisse a stimolare negli allievi la curiosità e il desiderio di studiare, approfondire, analizzare, far emergere i dubbi e le perplessità e interrogarsi sul perché di quanto gli è stato detto. Un lavoro da svolgere, con calma a attenzione a casa e riferire poi, in classe, ai professori e ai compagni.

Si avvierebbe allora un naturale movimento di confronto, analisi, approfondimento che coinvolgerebbe  tutti i discenti e i professori, per arrivare, magari a opinioni interessanti, non tutte uguali ma tutte necessarie per la crescita e la maturazione dell’allievo (anche i professori ne trarrebbero giovamento ).

Oppure una lezione frontale potrebbe essere già impostata su un doppio livello: una parte di ascolto e una di discussione in classe. Ognuno con le sue esperienze, le sue letture le sue convinzioni, darebbe vita a fecondi dialoghi, interessanti confronti, acute dispute, dove l’intelligenza e le capacità di ognuno sarebbero evidenziate ed esaltate, fino ad arrivare, a volte, ad una conclusione accettata da tutti.

Si tratterebbe di un agire insieme docenti e discenti, un camminare insieme per raggiungere mete più elevate. Ovviamente ciò necessita di un uno svolgimento ordinato, corretto e rispettoso dei ruoli.

Nulla poi osta ad alternare pratiche tradizionali con novità metodologiche o a attivare, con intelligenza e in sinergia ‘grammatiche’ educative più sperimentate o di recente acquisizione (tutti i supporti multimediali, per esempio).

Mi rendo conto. Discorso troppo datato, Altri discenti e altri docenti occorrerebbero. Forse per questo si è pensato di adottare le ‘miracolose’ procedure formative di altra provenienza Tutto cambia, bisogna innovarsi. Va bene. In questa corsa alle ‘migliori’ metodologie di chi è migliore di noi, però, non sembra ci sia stata la necessaria misura.

Si sono prese e si continuano a copiare e a innestare sul già debole sistema scolastico, più e più pedagogie (in apparenza nuove, in realtà tutte datate e magari superate e non troppo vincenti) senza un attimo di tregua per vedere, provare, testare quale risultati ciascuna possa dare.

Si crea così un affastellarsi di opzioni o possibilità che non recano vantaggio alla scuola, anzi gettano in confusione i discenti e provocano disorientamento ai docenti. I competenti del settore certo hanno contezza di questi gravi pericoli.

Che dietro tutto questo agiscano – come ritiene la Dottoressa Frezza le ‘sirene del mercato’? Sarebbe molto triste per la mia ingenuità da vecchio docente dalla visione ancora pura della scuola.

Tale frenesia del cambiamento ad oltranza, senza ma e senza se, si è sempre più concretizzata con una vera invasione di progetti (una variegata scelta, una tavolozza di colori, un cangiante arcobaleno) che si innestano e si aggomitolano con i programmi ministeriali riuscendo, perfettamente (altre erano le aspettative), nel  creare  un ‘ modus operandi’  approssimativo, superficiale e frammentario che poco incide nella personalità dell’alunno, lo stressa e lo manda in crisi. In crisi i ragazzi e gli insegnanti (almeno gli anziani), già logorati e consunti da girandole di improvvide riforme. Se aggiungiamo poi l’invasione barbarica (benché molte volte necessaria) della tecnologia che, somministrata in dosi massicce, porta il discente, inconsapevolmente, a dipendenza digitale e riduce, velatamente, gli spazi di manovra del docente, destinato forse, in un futuro speriamo lontano a divenire semplice esecutore digitale o un assistente della macchina ( ‘la macchina non potrà mai sostituire l’uomo e l’insegnante’. Affermano sicuri i più ottimisti).

Inoltre, per non farci mancare nulla, la nostra carità laica ha messo in campo tutta una serie di procedure e piani educativi individualizzati o personalizzati per venire incontro alle esigenze dei più fragili. Si chiama inclusione.

D.S.A, B.ES., Dop o altro. Siamo tutti bravi e belli e buoni. Si tratta di trovare il modo giusto, la chiave per aprire e e far emergere le potenzialità ( dalla potenza all’atto) di ogni giovane. Gli interventi del Legislatore in questo senso sono certamente validi ed evidenziano una società avanzata, civile e democratica che non vuole lasciare indietro nessuno. Se ciò non avviene poi la responsabilità sarà dei docenti, non ancora in grado di ‘moltiplicarsi’ e di  di azionare, simultaneamente  atteggiamenti e spiegazioni diverse per ogni alunno, affinché tutti possano raggiungere gli stessi risultati, o quasi. Ovvio. Aspetteremo i docenti supermen.

Ci chiediamo però se tutti questo ‘fiorire’ di ragazzi difficili ogni anno sempre in aumento, non sia un modo ‘astuto’, da parte della famiglia, per mandare aventi i loro figli in un certo percorso anche se non ne hanno le disposizioni giuste.

Casi importanti di cui prendersi cura esistono certamente, eppure non posso sospettare che, in passato i discenti che  avevano soltanto poca voglia di studiare ora sarebbero classificati ragazzi fragili e bisognosi di un particolare atteggiamento nei loro confronti.

In fondo è giusto così, gli studi sulla ‘personalità’ degli adolescenti sono andati avanti e a tutti devono essere concesse le stesse possibilità. Un rischio però esiste.

Cercare di realizzare una scuola in cui tutto si apprenda con facilità, non si abbiano grandi difficoltà, ci si stia comodi e rilassati e si ottengano buoni risultati senza troppo faticare, ebbene, una tale strategia può portare, soprattutto i meno forti, ad una certa pigrizia mentale, un rilassamento eccessivo, una convinzione di essere sempre protetti, una debolezza di fondo che renderà loro ancora più duro affrontare, poi, le inevitabili lotte della vita.

Non c’è in questo discorso una vera critica in realtà, anche se così potrebbe sembrare, solo la paura della sovrabbondanza, della fretta, dell’ingolfamento.  Non essere ancora riusciti a trovare la giusta misura con cui operare, con cui discernere  e scegliere le più adeguate  attività integrative, i tempi idonei e opportuni per  realizzarle senza compromettere l’andamento del programma (almeno quello necessario ed essenziale), le più efficaci modalità per  implementare e rendere più incisivo, anche con l’ausilio dell’alta tecnologia, il ruolo insostituibile della scuola. Col tempo, forse.

Un vecchio (e ‘smarrito’) docente di Genova

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