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Il rapporto OCSE-PISA 2022 e la scuola italiana

È arrivata una nuova campagna di slogan basata sui dati OCSE-PISA riguardanti i livelli di apprendimento dell’italiano, la matematica e le scienze degli studenti italiani, confrontati con quelli degli studenti OCSE.

Al centro di questa campagna, il sottinteso “le lamentele degli insegnanti sul decadimento dell’istruzione sono infondate, lo dicono i dati”.
Ora, a fronte di affermazioni apodittiche di persone che conoscono la scuola soprattutto dal punto di vista della propria carriera politica o accademica, andrebbero poste delle domande senza pretendere di avere necessariamente delle risposte:


1) Cosa misurano esattamente i test in questione, e come sono strutturati? Ci si ricorda del fatto che l’adeguatezza o meno delle risposte dipende da ciò che si va a misurare, cioè da ciò che si richiede agli studenti? E i livelli di conoscenze richiesti dalle domande sono gli stessi, poniamo, del 2000?;
2) Ammesso che i livelli di apprendimento italiani non siano in calo rispetto a quelli degli altri Paesi del mondo coinvolti nell’indagine – notizia da salutare senz’altro con soddisfazione – ci si è posti delle domande sul livello, l’andamento e la qualità generale di questi apprendimenti? Per dirla più chiaramente: non cavarsela male rispetto a un disastro generale in cui si è coinvolti – se questo per ipotesi fosse il caso – dovrebbe destare comunque preoccupazione.

Il rapporto OCSE-PISA curato per il nostro Paese da INVALSI dice chiaramente, per quanto riguarda le abilità di lettura: “I risultati medi di PISA 2022 sono significativamente inferiori a quelli osservati in tutte le rilevazioni precedenti, ad eccezione del 2006. A livello internazionale, dal 2018 al 2022, nei 35 Paesi OCSE partecipanti a PISA il rendimento medio in lettura è diminuito di circa 10 punti. Questo scarto di punteggio è inedito, dato che la differenza della media OCSE in lettura tra due rilevazioni PISA consecutive fino al 2018 è sempre stata contenuta entro i 5 punti. I risultati del 2022 potrebbero far pensare a uno shock che ha fatto diminuire le prestazioni in molti Paesi nel periodo 2018-2022 e questo pensiero potrebbe facilmente condurre all’evento pandemico. Tuttavia, i risultati migliori in lettura sono stati osservati nel 2012, anno a partire dal quale la traiettoria è diventata negativa: le cause di questo declino decennale sembrano avere origini più profonde, che andrebbero oltre l’impatto della pandemia COVID 19”.

E, soprattutto, nelle considerazioni generali iniziali, si legge: “I risultati di PISA 2022 mostrano, purtroppo, una situazione dell’istruzione mondiale non confortante. Il rendimento medio nei Paesi OCSE è sceso di almeno 15 punti in matematica e 10 punti in lettura. Ciò equivale all’incirca a mezzo anno scolastico in lettura e a tre quarti di anno scolastico in matematica. Al contrario, unica nota positiva, il rendimento medio in scienze non ha subito variazioni significative. La tendenza dei risultati medi in lettura nei Paesi OCSE è negativa e nel periodo più recente si registra un ulteriore peggioramento”. 
Poco di cui rallegrarsi, insomma.
3) Veniamo alla domanda centrale, quella che può portare a considerazioni anche opposte a partire dagli stessi dati: PERCHÉ i risultati italiani vanno abbastanza bene rispetto a quelli del contesto di riferimento? E perché, a livello mondiale ed europeo gli apprendimenti sono in calo?
La tesi di alcuni tra gli entusiasti dei risultati OCSE è questa: avete visto? Nonostante quello che dicono quei lamentosi degli insegnanti, i dati mostrano che le “riforme” e le “innovazioni” che hanno cambiato il nostro sistema scolastico negli ultimi decenni non fanno peggiorare gli apprendimenti (certo nemmeno migliorare, a quanto dice il rapporto stesso: “La tendenza complessiva del rendimento in lettura in più di due decenni può essere descritta come stabile – né in miglioramento, né in declino. Se oggi il risultato dei nostri studenti è mediamente superiore a quello medio dei Paesi OCSE è dunque per la sostanziale tenuta delle abilità di lettura dei nostri studenti in un contesto internazionale di forte calo generalizzato dei risultati. Come a dire, non siamo noi che miglioriamo nel tempo ma sono gli altri che, mediamente, peggiorano”).
Ma, a parte tornare alla domanda 1, qui è indispensabile aggiungere un paio di considerazioni. 
È in corso da molti anni una campagna di delegittimazione degli insegnanti italiani, di cui si denuncia l’arretratezza e la lentezza ad adeguarsi a un presunto progresso pedagogico-didattico incentrato soprattutto sulla retorica delle “competenze”, di matrice economicistica, sposata in pieno da organismi sovranazionali europei e mondiali (emblematiche le raccomandazioni UE sulle otto competenze-chiave di cittadinanza). Ora, la considerazione viene da sé: come mai nel nostro paese le cose vanno meglio rispetto a realtà che quelle indicazioni applicano con più diligenza di quanto facciano – a detta di chi li considera “vecchi” e poco aggiornati rispetto ai dettami del pedo-burocratese – gli insegnanti italiani? 
E qui, in attesa di spiegazioni senz’altro migliori, formuleremmo un’ipotesi che alla luce dei fatti potrebbe essere sensata: in Italia le cose vanno meglio NONOSTANTE riforme che – rispetto ad altre realtà, dove sono in atto da più tempo – non sono ancora riuscite a cancellare del tutto i benefici di una lunga tradizione di scuola pubblica di qualità, che ha caratterizzato e probabilmente caratterizza ancora il nostro Paese.


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