Il Comune di Bologna, scrive Affaritaliani, potrebbe recuperare le risorse per destinarle ad altri servizi compresa la scuola, evitando il referendum e le lacerazioni. Piange miseria perché non riceve soldi dallo Stato, mentre potrebbe statalizzare le sue scuole per mancanza di risorse, evitandosi la grandissima parte dei costi.
Sul referendum di Bologna a quanto sembra non c’è pace né si trovano scelte condivise dal momento che non ci sarebbero soldi e i proponenti il referendum dicono che se si utilizzassero le risorse destinate alle scuole private non si avrebbero bimbi in attesa in quelle pubbliche e meno precariato fra i dipendenti. Il problema è allora quello di esprimersi sul contributo di 1 milione di euro che il Comune versa ogni anno alle 28 scuole materne private e paritarie che seguono 1736 bambini. Referendum consultivo che significa che sarà poi comunque la politica a decidere come interpretarne il risultato. Tuttavia sembra che, scorrendo il Bilancio del settore istruzione del capoluogo degli ultimi anni, si scopre che, a detta di Affaritaliani, il Comune di Bologna spende 11 milioni di euro nel 2009, 9 milioni di euro nel 2010 e circa 8 milioni nel 2011 (ultimo anno consultabile) per delle scuole superiori, gli Istituti Aldini Valeriani e Sirani che sono già passati allo Stato a partire dall’anno scolastico 2008/2009.
Invece, per recuperare fondi per la propria città e destinarli a spese utili dovrebbe, come ha fatto il sindaco di Firenze, stipulare con il Ministero dell’Istruzione un accordo, cedendo allo Stato, con i relativi costi, le scuola medie e superiori di cui il Comune paga il personale.
Se il Comune lo facesse potrebbe recuperare gli ‘ultimi’ 8 milioni pagati nel 2011 e ben altri 11 milioni dei 33 con i quali paga le scuole d’infanzia (solitamente si fanno accordi per la statalizzazione del 30% di questo tipo di spesa).
Da questo si comprende, dice sempre Affaritaliani, che ci sarebbero risorse disponibili sia per le scuole paritarie che per le cosiddette pubbliche ed evitare il Referendum, uno scontro e una spesa basato su una mancanza economica che in realtà non c’è. Ma intanto si vota e si spende.