Su modello di quanto accade in altri Paesi europei, anche in alcune scuole italiane è stata introdotta la pratica di ritirare gli smartphone all’inizio delle lezioni, per restituirli solo al termine delle attività didattiche, o della singola ora di lezione. Come succede sempre nel nostro Paese di fronte a qualunque pratica netta e chiara, che incida davvero sulla sostanza delle cose, anche in questo caso molte persone – non solo tra i genitori, com’era prevedibile, ma anche tra gli stessi insegnanti – eccepiscono, obiettano, si oppongono, con motivazioni varie. Per rimanere a quelle accettabili, senza tenere conto cioè di quelle non in buona fede e non dichiarate, queste motivazioni possono essere ridotte a tre:
1) Gli smartphone, ormai, fanno parte della vita quotidiana degli studenti; proibirne l’uso significa allontanare ancora di più i giovanissimi dalla scuola e i ragazzi dagli adulti (e viceversa);
2) Gli smartphone potrebbero rappresentare uno strumento didattico importante: visto che sono così utilizzati dagli studenti, possono diventare un mezzo accattivante per coinvolgere gli studenti nelle attività scolastiche;
3) La responsabilità degli smartphone ritirati ricadrebbe sugli insegnanti, che si troverebbero gravati così di un ulteriore lavoro di sorveglianza.
Di fronte a queste obiezioni (l’ultima delle quali può essere tranquillamente ignorata, visto che non mancano soluzioni pratiche e organizzative piuttosto semplici al problema), è importante ribadire i motivi per cui quella del ritiro degli smartphone rappresenta una buona pratica, di quelle che possono assicurare autorevolezza e un futuro alla scuola:
1) È quasi superfluo insistere sui danni provocati nei giovanissimi dall’abuso di alcuni strumenti tecnologici: chiunque lavori nella scuola, e non sia accecato da pregiudizi ideologici che inducono ad astratti ottimismi, non può non constatare come vi sia un aumento esponenziale, tra gli studenti, di fenomeni come l’incapacità di comprendere un testo scritto minimamente articolato dal punto di vista sintattico e lessicale, di comprendere discorsi che richiedano la conoscenza di contenuti culturali minimi, di produrre un testo scritto originale, senza l’ausilio del ‘taglia e incolla’. Come potrebbe essere altrimenti, se l’abitudine alla lettura è sostituita – non di rado in maniera totale – dal ‘colpo d’occhio’ su messaggi di pochissime parole?
A ciò va aggiunta, come causa e conseguenza al tempo stesso, un’estrema difficoltà di concentrazione. La dinamica stimolo-risposta immediata cui l’uso ininterrotto dei social costringe non può che disabituare alla riflessione e ai tempi lunghi del pensiero. Rispetto a questi fenomeni, chi potrebbe affermare che la presenza degli smartphone in classe, a ‘portata di dito’ degli studenti, rappresenti un vantaggio anziché un danno?
Sulle ripercussioni psicologiche dell’iperconnessione poi, con i fenomeni tra loro collegati dell’ansia, della dipendenza e del ritiro sociale, è già stato detto tutto. Non resta che riflettere su quanto valore educativo abbia in sé e quanta sottrazione di ansia possa apportare il superamento guidato e comunitario di una dipendenza. In effetti l’esperienza effettuata in scuole come la mia (istituto tecnico di Roma) mostra come il no netto iniziale, al quale i ragazzi si abituano presto, produca un clima più sereno, grazie a una chiarezza di cui le persone in crescita hanno bisogno, ed eviti una continua contrattazione e delle dinamiche sorvegliante/sorvegliato estremamente sgradevoli per entrambe le parti. Nell’esperienza di chi scrive il no iniziale, una volta che tutti ne abbiano sperimentato la sensatezza e l’utilità, si trasforma in un nuovo patto di fiducia.
2) I ragazzi non cercano nella scuola un ambiente che si omologhi a quello che già conoscono, ma cercano (anche senza rendersene conto) qualcosa di alternativo e di diverso, che li porti fuori dalla dimensione esistenziale in cui si trovano a vivere, spesso monodimensionale, soffocante e priva di reali stimoli come possono essere quelli della relazione, delle parole che suscitano pensieri nuovi, di spazi imprevedibili di conoscenza, delle scoperte culturali, di storie in cui rispecchiarsi. I giovanissimi non hanno bisogno di adulti che si conformino al loro modo di vivere e che li inseguano sul loro stesso terreno ma di adulti, appunto, che facciano gli adulti: che li guidino nella ricerca di un senso possibile della realtà, nella scoperta di se stessi, attraverso contenuti umani e culturali significativi; e che, quando occorre, si prendano la responsabilità di dire dei sì e dei no chiari e motivati, che rappresentino un limite virtuoso su cui le persone in crescita possano orientarsi senza perdersi. Mi sembra che il no all’uso degli smartphone in classe rientri esattamente in questa categoria di limite.
3) Pensare che ci sia bisogno dello smartphone o che si debba puntare su metodologie “innovative” a tutti i costi (con una forma inquietante di integralismo) per poter appassionare gli studenti significa porsi in una posizione psicologica completamente errata, quella di chi dà per scontato che ciò che si insegna – i contenuti, certo, non le ‘competenze’ – e il rapporto che si crea tra insegnanti e studenti non siano già appassionanti di per sé. Alla base di questa sottovalutazione del fascino dell’ora di lezione, a volte, c’è una mancanza di passione che non riguarda solo gli studenti; ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano…
4) L’interruzione di un continuo e patologico collegamento con i familiari tramite gli strumenti tecnologici – collegamento non di rado voluto e imposto più dagli adulti che dai ragazzi – spezza la tendenza ad assimilare l’ambiente scolastico a quello familiare, con tutte le sue disfunzionalità. Il ragazzino che non deve guardare compulsivamente lo smartphone e che non riceve continuamente messaggi anche durante le lezioni è finalmente libero di stabilire un contatto umano con i compagni e con gli insegnanti, è libero di sentirsi presente in un luogo finalmente ‘altro’, con i vantaggi in termini di autonomia e di contatto con se stesso che ognuno può immaginare.
5) Ovviamente questo discorso non esclude un uso circoscritto degli smartphone per determinate attività didattiche; ma a decidere dei tempi e delle modalità di quest’uso dev’essere sempre l’insegnante.
Luca Malgioglio Gruppo La nostra scuola
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