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Il ritorno alla DAD mette paura, ecco il perché

Sembrano così lontani i tempi in cui cantavamo tutti insieme fuori i balconi l’inno di Mameli, simulando un popolo, unito, forte, un nazionalismo che esce fuori di solito solo nelle partita della Nazionale di calcio.

Oggi abbiamo un Italia divisa in due. Certo, come osserverà qualcuno, è così da anni. Ci sono i pro e i contro qualcosa, siamo in grado di dividerci in due su ogni cosa, come ai tempi dei Duran Duran e degli Spandau Ballet.

Adesso, oltre ai pro vax e i no Vax, abbiamo anche i pro Dad e no DAD.

Siamo nel pieno della quarta ondata del Covid 19 e sono tornati in auge gli scontri sulla necessità di fare didattica in presenza o a distanza.

Perché il ritorno alla DAD mette paura

Partiamo dal presupposto che la scuola è un sistema complesso: introdurre l’innovazione digitale significa coinvolgere ed impattare su tutti gli elementi che la compongono. Insegnanti, personale di supporto, ambienti, strumenti, la formazione e ultimo non per importanza l’organizzazione.

Ogni cambiamento richiede tempo, sperimentazione e soprattutto occorre non tornare indietro, presa una strada la stessa va portata avanti, sistemando in corsa le cose che eventualmente non vanno bene.

Ogni cambiamento sociale richiede tempo, perché la novità va assimilata, interiorizzata fino a che diventa un nuovo elemento di quella cultura.

Durante la lunga pausa natalizia, un gruppo di 1500 dirigenti scolastici ha scritto al Governo per richiedere di sospendere le attività in presenza per almeno due settimane. Voleva dire non fermare la scuola ma continuarla usando la DAD, bistratta da tutti, insegnanti, studenti e genitori.

Il tema di fondo è essenzialmente questo: durante la prima quarantena forzata, la DAD è stata una necessità, utilizzata in estrema emergenza. Nessun Istituto, tranne rare eccezioni, era preparato, così come nella maggior parte dei casi non lo erano studenti e genitori.

DAD, una esperienza che non deve andare dispersa

Ma la DAD ha salvato la didattica. Ha permesso di andare avanti, di far sentire vicini anche se lontani fisicamente studenti e docenti. Ha permesso a tanti di prendere confidenza con il digitale, introducendo nel loro insegnamento diverse pratiche didattiche, passando dalla lezione frontale allo sviluppo di ambienti di apprendimento con cui gli studenti interagiscono.

Passato il momento di necessità, in cui l’uso della DAD era stata una via obbligata, si poteva usare il rientro a scuola per continuare a sviluppare il percorso verso una evoluzione completa al “digitale” della scuola stessa. Il tempo c’era ma non è stato sfruttato bene, spengendo la DAD, tanto “non sarebbe più servita” perché il covid ce lo stavamo lasciando dietro la spalle.

Così non è andata, la variante Omicron ha sbugiardato chiunque pensava che ne eravamo finalmente usciti e potevamo finalmente girare a bocca scoperta, nel mondo scolastico è tornato il terrore di tornare ad usare gli strumenti digitali a distanza.

Serve lavorare sull’organizzazione

Se cambiare la struttura oltre alla volontà seria di investire veramente è più complicato, sull’organizzazione si potrebbe lavorare seriamente e in tempi brevi.

Molto interessanti i suggerimenti di Vittorio Midoro, che coinvolgerebbe “dirigenti scolastici, docenti pionieri e ricercatori del settore delle tecnologie didattiche, in un progetto per individuare organizzazioni del tempo scolastico diverse da quelle attuali.” Esempi di quello che si potrebbe fare: accesso limitato piccoli gruppi di studenti con attività complementate con quelle da remoto, oppure una diversa organizzazione dei corsi in logica sequenziale ad esempio 4 settimane solo italiano, 4 matematica e cosi via. Ma anche lezioni svolte in piccoli gruppi in modo sincrono e asincrono con momenti di confronto in presenza, adottando strategie didattiche attive come le flipped class, il debate, la didattica per progetti ecc.

Il tempo in presenza andrebbe limitato a brevi incontri con piccoli gruppi di studenti, possibilmente all’aperto. Si potrebbero coinvolgere le realtà locali come risorse per l’apprendimento (un parco, una riserva naturale, ecc.)”.

Insomma, lavorandoci sopra la DAD potrebbe diventare un’arma in più da integrare e per migliorare la didattica tradizionale, non come strumento obbligatorio da usare solo perché non si può stare in presenza.

Perché si dovrebbe adottare la didattica digitale integrata

La Didattica Digitale Integrata fatta bene, nella quale dovrebbe essere inscritta un’eventuale DAD, dovrebbe prevedere che la macchina digitale sia sempre in funzione, anche quando la classe è in presenza. Gli strumenti e i contenuti digitali, così come l’’uso corretto di Internet, permetterebbero ai docenti di fare una didattica “aumentata” molto più efficace rispetto alla didattica tradizionale.

Per arrivare a questo obiettivo vanno rivisti i metodi di insegnamento aggiornandoli su dinamiche e contenuti diversi. Un passaggio che tornando a quanto detto all’inizio non si può fare in due mesi, ma che se mai si inizia, mai verrà completato. E la quarantena sarebbe un’occasione sprecata.

Dino Galuppi

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